Il “corpo estraneo” e la sua impossibile “Seconda Possibilità”

Una Seconda Possibilità di Gamy Moore, pseudonimo della giovane autrice Paola Cimmino, è un testo perfettamente calato nella realtà politica e sociale dei nostri giorni, un testo di grande rilevanza civile in cui la narrazione diventa vero e proprio veicolo di un potenziale rovello di coscienza: quanto siamo disposti a impegnarci, e perfino a mentire o rischiare, affinché chi è meno fortunato goda di una seconda possibilità? Quanto vale la verità? Quanto la razionalità, in un mondo che ritiene possibile che i più miseri affoghino in mare? Che i più poveri, restino per sempre tali? Che l’indifferenza paghi qualsiasi silenzio e autorizzi qualsiasi condanna?

Lo spazio scenico, che replicherebbe gli ambienti sterili di un ospedale, diventa una sorta di ring funzionale a un inevitabile psicodramma forzato. Al centro la storia di Asir, profugo del Gambia catapultato in un occidente che potrebbe essergli “amico” ma che gli si rivolta contro perché incapace di spiegarsi il mistero di questa “assurda e inattesa amicizia”. Asir ha in dono l’occasione di viversi una seconda possibilità. Non importa come l’abbia avuta, ma la ha. E dichiara disperatamente la propria estraneità a qualsiasi fatto di sangue. A qualsiasi crimine efferato.images

Ma non basta. Asir è fisiologicamente “un corpo estraneo” e come tale la sua parola non vale nulla. Vale di più il nostro pregiudizio. Il nostro sospetto. La nostra ostentata sicumera.

Teatro apparentemente di parola, quello proposto dalla regia di Francesco Sala è un sincero e misurato laboratorio sul pregiudizio e l’integrazione. Gli interpreti, affiatati e ben coesi, pongono lo spettatore di fronte all’autenticità del proprio sentimento di accoglienza e solidarietà. Una menzione particolare per il protagonista Federico Lima Roque, che riesce a restituire in maniera anche plastica e fisica, la condizione drammatica del rifugiato. Del senza diritti. Di chi viene percepito come inattendibile solo per mero pregiudizio, per ignoranza o per tragica paura.

Claudio Finelli

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