“W la mafia”, il sogno interrotto di un orfano

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Compie dieci anni esatti “W la mafia” di Aldo Rapé, ma non mostra nessuna ruga. Più di 500 pagine, premi e riconoscimenti prestigiosi, non hanno tolto smalto ed energia a questo talentuoso artista nisseno, che porta anche al Nuovo Teatro Sancarluccio di Napoli, con la regia di Nicola Vero, la storia di un ragazzo rimasto bambino, sotto shock per la violenta uccisione per mano mafiosa di entrambi i genitori. Arrampicato su un albero, a un passo dal cielo, Calogero ha come unico interlocuttore un pinocchietto di legno, Gino, ma in realtà si rivolge a tutti i morti di mafia, che nomina uno ad uno in uno struggente, lungo elenco (purtroppo solo parziale), e soprattutto agli amatissimi genitori. In bilico a piedi nudi su ceppi che monta e smonta e che diventano nuove scenografie di volta in volta, Aldo Rapé commuove e scuote con la sua vibrante interpretazione di un adulto bambino disperato e disperso, vittima innocente di un mondo che non può capire, o che forse ha capito fin troppo bene, con la spietata lucidità di un’infanzia ferita. Dalla cima del suo albero-Aventino, il giovane Calogero è un riuscito ritratto di follia, indignazione, rabbia, ingenuità e tenerezza. Le sue frasi sono fumetti in dialetto di un cartoon surreale, dardi infuocati che non hanno direzione, e si perdono nel “silenzio”, spesso invocato, sordo e muto testimone di un mondo di solitudine e infantile livore. La ricetta di uno spettacolo di rara perfezione é insieme semplice e complessa. Teatro puro ma anche compendio didattico ed edificante, che sarebbe a proprio agio nel teatro più borghese e nella scuola più sgarrupata, offre varie chiavi di lettura e tocca un buon numero di corde, anche al più cinico tra gli spettatori. Rapé si conferma artista di squisita sensibilità e provato spessore, ennesimo talento di un’isola che esplode di talenti e di poesia, sublime ribellione ai tentativi di appiattimento socio-culturale che hanno anestetizzato gran parte del resto d’Italia.

Antonio Mocciola

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