“Blu Abisso”, a Cappella Orsini di Roma
I misteri dell’anima in un’opera di squisita poesia

 

Perfettamente intonato con il contesto ambientale in cui è stato proposto, la suggestiva Cappella Orsini nel centro di Roma, “Blu abisso” segna il ritorno di Antonio Mocciola nello spazio di Opera Lucifero, per la rassegna O-Scena Euforia diretta da Joyce Conte. Per l’occasione l’autore partenopeo ha proposto un monologo che, prendendo spunto dal celebre dipinto del tuffatore di Paestum, indaga in realtà ben altri “abissi”, quelli dell’animo umano.

Con un attore perfettamente a tono, Graziano Purgante, sempre nudo in scena come vuole l’icona sepolcrale di Paestum (ma anche la griffe dell’autore), e un musicista di notevole presenza come Vincenzo Vecchione, prendono quota il testo e la regia, in un ensemble perfetto che parte dal tuffo nel Tirreno, e ad esso torna, con un triplo carpiato azzardato e vincente attraversando il viaggio disperato di un profugo albanese verso la Puglia e il salto nel blu di Ettore Majorana, scienziato travolto dai sensi di colpa.

Si parla di reincarnazione, ed appare quindi indovinatissima la scelta de “L’ombra della luce” di Franco Battiato, che cantava i suoi “cicli di vite” proprio mentre migliaia di albanesi si imbarcavano verso Bari, ammassati in malferme navi-lager. I miti orfici, i simboli chiari (il fuoco, l’acqua) e celati (il plagio, la violenza fisica, l’adolescenza violata, i falsi guru), i temi cari all’autore non diventano mera operazione colta ma anzi impennano verso un’interpretazione dapprima quasi ipnotica, e via via sempre più viscerale, di Purgante, ottimo interprete del mondo di Mocciola per saperne evocare anche le sottotrame più sinistre, che il candore del suo glabro corpo nudo paradossalmente accentuano, e avvalorano. Il giovane attore campano affronta la sala piccola ma concentratissima con sicurezza e piglio, diventando ogni volta quel che il testo richiede, e riuscendo a sembrare ogni volta credibile. La disinvoltura di un nudo integrale, e perenne, per tutto lo spettacolo, non è scontata: su questo elemento molti attori anche esperti potrebbero cadere, eccedendo in narcisismo o, peggio, tenendo il freno tirato. Invece Graziano Purgante lo usa come un costume di scena, con serena indifferenza. Eppure splende, proprio perché sa “vestirsi” di parole, gesti ed emozioni. Gli interventi musicali del giovanissimo Vecchione sono discreti e misurati, ma quando esplode il suo canto, a scena vuota, la sala resta sospesa in un ascolto teso, per una canzone che da salmo diventa mantra, e infine si fonde col testo come, probabilmente, lo stesso Battiato – con cui Mocciola collaborò nel 2007 – avrebbe apprezzato.

Opera complessa, conturbante, spiazzante, “Blu abisso”, il cui debutto è avvenuto – come è giusto – proprio a Paestum per la rassegna diretta da Sarah Falanga, merita ascolti e visioni ulteriori, per godersi l’evoluzione di due giovani e promettenti interpreti, e per scoprire altri significati che, come una matrioska, i testi di Antonio Mocciola spesso celano.

L’abisso non ha colore, ad esempio. In questo trabocchetto lessicale potrebbe esserci qualche risposta in più da indagare. Il teatro, fatto come si deve – come in questo caso – sa incuriosire e godere, anche senza rilevare.

Alessia Coppola

 

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