Ai margini della foresta, la solitudine del forestiero

koltesUna riuscita versione del più noto copione di Koltes

Drammatica ed attualissima vicenda di uno smarrimento senza riscatto, senza possibilità di integrazione, Ai margini della foresta, ispirato al noto monologo “La notte poco prima della foresta” del franco-algerino Bernard Marie Koltès, ci conduce con misura e piena consapevolezza di tempi ed atmosfere all’interno dell’universo esistenziale di un esule, di un forestiero, di un uomo che, in virtù di un malinteso e gretto senso della patria territorialità, vive sulla propria pelle la dura realtà dell’emarginazione e dell’esclusione.

Il testo di Koltès, a cui si riconduce l’adattamento portato in scena con grande ed apprezzabile intensità da Carlo Verre, pur scritto alla fine degli anni ’70, coinvolge lo spettatore per la sua sconcertante attualità. Razzismo e xenofobia,

 infatti, nonostante le riconoscibili trasformazioni subite dalla nostra società negli ultimi trent’anni, sembrano essere ancora piaghe dolorose, piaghe che provocano tragedie inaccettabili in un paese, quale l’Italia, sempre più irrimediabilmente simile (per fortuna!) alle moderne comunità multiculturali. 

La foresta in cui corre, si affanna, grida e si confessa il protagonista, è la foresta “autunnale” della solitudine e dell’isolamento, suggestivamente realizzata sulla scena da Tiziana Mastopasqua (regista e autrice delle scene) coadiuvata da Mario Autore, solo la pioggia, che scroscia con imperterrita ed angosciosa indifferenza, potrebbe ascoltare questo straniero in fuga, questo straniero che invoca la presenza di qualcosa

di diverso, che cerca di intercettare la coscienza politica di un improbabile sodale/ascoltatore e auspica con slancio utopico e romantico l’avvento di un sindacato su scala internazionale che – senza far politica – possa prendersi cura di tutti i diseredati della terra.

Eppure, benché accecato dalla fiducia in un riscatto improbabile, lo straniero è abbastanza lucido da capire che i porci sono dappertutto, non hanno vergogna e si aggirano tra di noi con facce che non sono facce. I porci sono i tec

 

nocrati, su scala internazionale, di questa deriva di sopraffazione e brutalità di cui siamo tutti un po’ complici, complici nostro malgrado probabilmente, ma pur sempre complici, grazie alla nostra omertosa ignavia, grazie alla nostra distratta apatia, grazia alla nostra incapacità di ascoltare lo straniero.

Napoli – TIN  ( Teatro Instabile Napoli), 21 Novembre 2013

Claudio Finelli

 

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