“Boss in incognito”, quando la pubblicità diventa reality

costantino-della-gherardescaDopo l’avvento e il perdurare della crisi anche i palinsesti televisivi iniziano a mutare. Forse era considerato troppo frivolo e ormai saturo il fenomeno “Isola dei Famosi” e quindi Raidue ha ben pensato di elargire altro agli esigenti telespettatori.

Proprio per cavalcare l’onda del disastro finanziario a cui gli italiani sono ormai ben abituati e approfittando della solita e solida moda da reality che il popolo dello stivale sembra adorare più di ogni altro genere di programmazione, giunge in prime time “Boss in incognito”.

Ormai in piena veste di conduttore dopo gli ottimi ascolti ottenuti con “Pechino Express”, l’ironico e preciso Costantino Della Gherardesca introduce questa nuova creatura come un docu-reality in cui un riccone, proprietario di aziende molto importanti, si abbassa a livello dei suoi operai o impiegati per vivere in prima persona una loro settimana lavorativa, scoprendo così in prima persona magagne occupazionali, stili di vita decisamente differenti ed una prospettiva del mondo che altrimenti avrebbe potuto soltanto immaginare.

Ecco quindi che un imprenditore romano, ma di origini mediorientali si trasforma in commesso di uno dei negozi che dirige, affrontando clienti martellanti e modi di interagire decisamente inediti, così come mettersi nei panni di un operaio conoscendo una collega molto più giovane entrando fin da subito in sintonia.

boss-in-incognitoProprio quest’aspetto smaschera lo sbaglio più grande della trasmissione: sarà che il pubblico italiano ama essere abbindolato con l’etichetta di reality appena possibile, ma la stessa natura di questo programma risulta assolutamente sbagliata per questa tipologia di intrattenimento. La scusa di infilare la telecamera in ogni momento di lavoro e di “confessione” tra colleghi, spacciata come riprese per un documentario sul mondo del lavoro italiano alle poco credibili vittime, stride terribilmente con l’idea che tutto sia vero, afflosciando così tutta la passione con la quale magari il progetto sembrava nato. Non mancano ovviamente momenti strappalacrime come ragazze giovanissime costrette a lavorare a causa della morte prematura di uno dei genitori, lontananza siderale dal luogo di lavoro con levatacce obbligate ogni santo giorno e drammi familiari di vario tipo che permetteranno allo spettatore medio di immedesimarsi nell’impiegato di turno.

E’ forse proprio questo soffermarsi sull’umanità dei lavoratori a modificare l’impronta base di “Boss in incognito” che, proprio da titolo, avrebbe dovuto andare a scavare sotto il profilo professionale il suo operato, e non fungere da confessionale o da psicologo ai suoi sottoposti.

La trasmissione risulta quindi troppo “italiana” nel senso dispregiativo del termine, puntando troppo sul lato emozionale che su quello cinico ed occupazionale, con il risultato di beatificare i marchi prìncipi della puntata grazie ai “boss” pronti a tamponare con emerita santità le emergenze personali di una percentuale minima di sottoposti, solo perchè inquadrati più insistentemente dalle telecamere. Ma in un paese dove i buoni sentimenti defilippiani regnano sovrani, chissà che questa scelta non si riveli effettivamente poi il punto di forza di questa novità televisiva.

Gaetano Cutri

 

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