“Cabaret”, un musical per non dimenticare

Ispirato al diario-romanzo di Christopher Isherwood “Goodbye to Berlin” , già tradotto in dramma da John Van Druten col titolo “I’m a Camera”, “Cabaret” ha rappresentato sin dal  1966, anno in cui debuttò a Broadway, una sorta di rivoluzione nel concetto fino ad allora diffuso del musical, dopo di lui sarebbero arrivati, ognuno a modo loro, gli altrettanto rivoluzionari “Jesus Christ Superstar”, “Hair”, “Evita”, ma trasportare sulle tavole fino ad allora ospitanti il disimpegno e la trionfale macchina kitch di un genere ritenuto spettacolare e di totale innocente evasione, un’opera densa di dramma e, perché no, impegno civile, con precisi riferimenti alla storia della nascita del nazismo, fu, evidentemente, un vero pugno nello stomaco, al quale Hollywood, cinque anni dopo, rispose con una liberissima trasposizione su celluloide firmata da Bob Fosse, che ne rinnovò comunque il mito, generando però qualche equivoco sulla trama, soprattutto sovrapponendo alle personalità dei personaggi le incisive e perciò schiaccianti iconografie degli interpreti cinematografici, in primis i due artisti che furono premiati con il premio Oscar: Joel Grey che fu un istrionico ed irriverente Maestro di Cerimonie, e la meravigliosa Liza Minnelli, che da allora, pur confermandosi negli anni come vedette di straordinaria bravura, non si tolse mai più di dosso l’immagine di Sally Bowles, e viceversa, in un gioco di scambievole identificazione, tant’è che nei teatri italiani, nelle due prime versioni, entrambe firmate dal regista Saverio Marconi per la Compagnia della Rancia, la protagonista, nel 1993 interpretata da Maria Laura Beccarini e nel 2066 da  Michelle Hunziker, non poterono rinunciare al riconoscibilissimo caschetto nero che fu nel film il simbolo della figlia di Judy Garland.

Giulia Ottonello (Sally Bowels)
Giulia Ottonello (Sally Bowels)

Molto significativa, pertanto, la scelta operata dalla stessa compagnia e dallo stesso regista, in questa edizione che ha debuttato già la scorsa stagione, di staccarsi definitivamente, e non solo dal punto iconografico, dal quel prototipo. Marconi decide di asciugare il musical da lustrini, paillettes, gags e trionfalismi, riducendo il cast ai personaggi da camera, le scene a dei semplici pannelli che di volta in volta formano i vari ambienti dell’opera, a cui fa da fondale un drappo di velluto rosso mal teso, e molto significativamente, sin dalle prime scene, la scritta luminosa del titolo, crolla abbattendosi in un angolo del palco. Il musical diventa dramma, non c’è posto per ammiccamenti da primadonna e l’eccellente prova di Giulia Ottonello, nel ruolo di Sally, trova ulteriore modo di sottolineare il tutto con la totale semplicità dei costumi e dell’acconciatura, e, nell’esecuzione del brano che dà il titolo allo spettacolo, una riuscitissima prova d’interprete tragica.

Giampiero Ingrassia (Maestro di Cerimonie)
Giampiero Ingrassia (Maestro di Cerimonie)

Dal canto suo il Maestro di Cerimonie interpretato dal sempre preciso Giampiero Ingrassia, non strizza l’occhio alla gioiosa ambiguità sessuale, ma è un uomo maturo, truccato in maniera imprecisa, con una maschera che lo fa assomigliare al Joker di Batman, beffardo ed irriverente, vestito con un liso abito di velluto, in una sorta di straniamento che osiamo definire filo-brechtiano. A tutto ciò risponde più o meno adeguatamente il resto del cast, con punte di eccessivo “conservatorismo” da parte del pur bravo Michele Renzulli, che, forse ancora troppo legato alle precedenti edizioni dove aveva interpretato lo stesso ruolo, non riesce ad andare fino in fondo al dramma personale del personaggio più tagico dell’opera, il semita Herr Schultz, la cui storia viene, inoltre, un po’ troppo sacrificata dalla riduzione rispetto al testo originale. Lo spettacolo è, ad ogni modo, un valido esempio di quanto il teatro italiano possa ancora dare ad un genere non sempre trattato adeguatamente nel nostro paese, spesso per colpa dell’improponibile intento di copiare prototipi inarrivabili come quelli anglo-americani.

Napoli, Teatro Augusteo – 9 dicembre 2016

Gianmarco Cesario

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