“Che fine hanno fatto Bette Davis e Joan Crawford?”
All’Off/Off Theatre gli ultimi bagliori del divismo

 

Per il secondo appuntamento dell’Off/Off Theatre arriva in Italia, grazie alla traduzione di Riccardo Castagnari, il testo di Jean Marboeuf “Che fine hanno fatto Bette Davis e Joan Crawford”, che già dal titolo strizza l’occhio al film che riunì, dopo decenni di battaglie a distanza, le più luminose stelle (all’epoca un po’ opache) di Hollywood. Per la regia di Fabrizio Bancale, lo stesso Castagnari, insieme a Gianni De Feo, riannodano i fili dell’esistenza delle donne, e delle attrici, che – diversissime – hanno lasciato un’impronta tale che ancora oggi, per esempio nella recente serie “Feuds” su Netflix, ipnotizzano le folle. Nei testi ficcanti, negli smaglianti costumi, ma soprattutto nella straordinaria performance degli attori sta il segreto di uno spettacolo che aggira i trabocchetti del “camp” ed entra a gamba tesa nella vita struccata delle stars, con dolente ironia o con altero distacco. Gianni De Feo dona alla sua Bette tutta la sgangherata mimica dell’attrice che superò gli ostacoli della bellezza non canonica per imporre un talento fuori da ogni schema, e quando compare, nel prefinale, in abiti più glamour di quelli della vecchia bambolina che fu Baby Jane, è davvero impressionante nella somiglianza. L’ode-sberleffo al funerale della Crawford (quando canta Johnny Guitar, l’hit della rivale “inghiottita dalle fiamme dell’inferno”) è un colpo di genio che non si può dimenticare. In quanto a Castagnari, la sua Joan è un cesello di sottrazioni di estremo gusto e intelligenza, sia nella deriva alcolica, che nella disillusa contemplazione del declino, fino al guizzo  orgoglioso dell’Oscar sottratto alla Davis da Anne Bancroft, e che la stessa Joan si premurò di ritirare in assenza della vincitrice, chiedendo “permesso” all’eterna rivale, marmorizzata dietro le quinte. La regia di Bancale lascia le briglia sciolte ai cavalli di razza sulla scena, ma riesce a tenere il controllo del tono, rendendo lo spettacolo godibile e con la giusta tensione, incorniciato dalle musiche originali di Francesco Verdinelli e dal riuscitissimo allestimento di Roberto Rinaldi, che racconta con perizia il fascino sciupato di un’epoca irripetibile.

Antonio Mocciola

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