“Gli Innamorati”: un ottimo cast per il maestro Goldoni

Amore e metateatro in una delle opere più interessanti per capire la riforma teatrale dell’autore veneziano.

L’amore è un sentimento potentissimo, capace di spingere l’uomo a compiere azioni spropositate o di condizionarne la mente al punto da pensare cose assurde; l’innamorato rischia seriamente di perdere il senno e di questo poeti e letterati da secoli ne hanno portato testimonianza. L’amore può dare origine a tragedie profonde, ma anche muovere azioni comiche esilaranti. Non a caso l’intera produzione teatrale, soprattutto italiana e spagnola, del XVI-XVII secolo si concentra sugli intrecci amorosi dove i protagonisti sono proprio gli innamorati: i loro scontri fanno sorridere, il loro romanticismo emoziona, gli impedimenti rappresentano sfide da superare a ogni costo, complici i personaggi “servili”. Stiamo parlando, naturalmente, della Commedia dell’Arte: il discorso e le diatribe sui ruoli in teatro continuano ancora oggi a trovare in essa le fondamenta. A cercare di scardinare l’antica spartizione dei personaggi fu nel Settecento Carlo Goldoni, il quale tentò di dare il ruolo di protagonisti a quelli che in passato erano stati figure di contorno: i servi. In realtà sappiamo che furono proprio gli attori che impersonavano le “maschere” a raggiungere maggior fama anche all’estero, mentre spesso gli “amorosi” mantenevano il loro protagonismo solo all’interno della trama. Goldoni cominciò ad assegnare le parti dando la possibilità ai suoi attori di essere versatili e passare dal ruolo di innamorato a quello di servo e viceversa. Tale apertura comportava anche uno studio più attento e psicologico dei personaggi: amorosi e servi venivano umanizzati, con le loro paure e i loro sentimenti, in una rete di relazioni che li metteva tutti sullo stesso piano (sia come artisti che all’interno della storia). Nella commedia “Gli Innamorati” del 1759 emergono in modo netto le caratteristiche della riforma goldoniana evidenziate con leggerezza e precisione dalla compagnia del Teatro Franco Parenti diretta dalla energica Marina Rocco – di cui avevamo apprezzato l’estro nel “Don Giovanni” di Filippo Timi –  in scena al Teatro Goldoni di Firenze con la regia di Andrée Ruth Shammah.

Un testo strutturato su due livelli di lettura: uno narrativo, l’altro metateatrale. Intorno ai due innamorati (ironicamente interpretati dalla Rocco e da Matteo De Blasio) ruotano personaggi secondari, spesso tentati di “rubare” la scena ai protagonisti; come Flamminia (Silvia Giulia Mendola), la sorella di Eugenia, non solo desiderosa di vivere anche lei un amore travolgente, ma anche di avere un ruolo maggiore in commedia. Talvolta gli attori escono dalla parte per commentare gli eventi di fronte alla loro guida (Goldoni appunto, interpretato da Alberto Mancioppi – anche nei panni di Ridolfo), o enfatizzano alcuni momenti “teatrali”, come la scena in cui Fulgenzio con un coltello sembra voler melodrammaticamente compiere un gesto inconsulto o in cui Eugenia sviene per lo strazio subito. Bisognoso di dimostrare le sue virtù (metafora dell’attore di secondo piano) è lo zio Fabrizio (degno di nota Umberto Petranca): eccentrico e bizzarro, necessita di ostentare la sua cultura o di vantarsi delle sue frequentazioni pur di dimostrare il suo valore, come se esso gli giungesse di riflesso da chi ha intorno. Retaggio della “vecchia commedia” è sicuramente il servitore Succianespole (efficace Andrea Soffiantini), flemmatico e smunto, la cui verve comica sta prima di tutto nella fisicità.

In una messinscena fluida e divertente, grazie anche a un bel gruppo di interpreti, al centro della commedia comunque rimane l’amore, con le sue mille folli sfumature: gelosia, ripicche, paure e sospetto sono gli ingredienti per le scaramucce di Eugenia e Fulgenzio che coinvolgono tutti i personaggi, i quali vi assistono sgomenti. Nulla ostacolerebbe il loro legame, la presenza di Roberto (Roberto Laureri) o di Clorinda (Elena Lietti) non ha alcun peso se non quello di accendere in loro reciproca gelosia. In fondo il gioco amoroso sta proprio in questo, nei dolci sospiri e nelle lacrime. I due innamorati danno vita a liti furiose, urla, nevrosi, disperazione, svenimenti, per poi rivelare la loro vera debolezza: la paura di non meritare l’altro. Nonostante il contrasto d’amore in questa storia non c’è spazio per sentimenti cupi e atmosfere amare; come suggerisce l’allegria di luci (Gigi Saccomondi) e scenografia (Gian Maurizio Fercioni) e la luminosità degli abiti degli attori, c’è solo una possibile conclusione: un felice matrimonio.

Firenze – TEATRO GOLDONI, 27 gennaio 2015

Mariagiovanna Grifi

GLI INNAMORATIAutore: Carlo Goldoni; Drammaturgia: Vitaliano Trevisan; Regia: Andrée Ruth Shammah; Scene e costumi: Gian Maurizio Fercioni; Luci: Gigi Saccomandi; Musiche: Michele Tadini; Interpreti: Marina Rocco, Matteo De Blasio, Roberto Laureri, Elena Lietti, Alberto Mancioppi, Silvia Giulia Mendola, Umberto Petranca, Andrea Soffiantini.

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