“La leggenda del grande inquisitore” , “Amare la vita più del suo significato e soltanto allora il suo significato…”

Splendida prova d’attore di Umberto Orsini, da una delle più belle pagine di Dostoevskij

“I fratelli Karamazov” è l’ultimo 8361 lavoro di Fëdor Dostoevskij, pubblicato nel 1879 il romanzo è considerato il climax dell’opera dostoevskijana, saga di una famiglia – che come tutte le famiglie – è piena di diversità, rivalità, contraddizioni, segreti, dolori. Ma soprattutto con l’ultima sua opera Dostoevskij affronta il dramma spirituale che nasce dal conflitto etico tra dubbio, ragione, fede e libero arbitrio.

Questo conflitto, oggi, è magistralmente portato in scena ne La leggenda del grande inquisitore da Umberto Orsini, che per la seconda volta si confronta con il grande romanziere russo e con il personaggio di Ivan, dopo lo storico sceneggiato televisivo del 1969. La messinscena è una riduzione del libro V del romanzo, quello dedicato appunto al grande inquisitore. Lo spettacolo è diviso in tre momenti. Un proemio silenzioso ambientato in una sorta di sala operatoria illuminata da luci asettiche, arredata da un tavolo e uno specchio ove campeggia una scritta-neon a caratteri cubitali: FEDE, la cui luminosità è ovviamente intermittente. Il suono del battito cardiaco che emettono le macchine ospedaliere è il costante sottofondo di movimenti misurati, di gesti ripetuti, di tormenti, quelli dell’intellettuale Ivan-Umberto accompagnato dal suo alter-ego, dalla sua immagine giovanile, dall’incarnazione di Mefistofele, interpretato da un impeccabile Leonardo Capuano. Il secondo momento, ambientato nel medesimo luogo, è la perfetta reiterazione del prologo, ma arricchito dal testo. In questa seconda fase scenica i tormenti dell’intellettuale si palesano – i richiami al Faust goethiano se non addirittura al superuomo nietzschiano aumentano – Ivan è un individualista, ripiegato su sé stesso, sul proprio passato, sul proprio piacere, sulla ricerca della libertà, sulla vita che ha amato che ama ancora e alla quale non riesce, perché non può, sottrarsi. Parla con sé stesso, parla con Mefistofele, parla – seppur a dovuta distanza – con noi mettendo in discussione tutti i valori di cui falsamente è inficiata la società. Ma sono proprio questi valori che vincono e convincono il popolo, un popolo sgome8035nto e infelice che ha bisogno di “miracolo, mistero, autorità”; queste sono le parole del grande inquisitore – interpretato sempre magnificamente da Orsini – che in un monologo recitato sulla ribalta su uno sfondo nero e illuminato dall’occhio di bue, sferra con vigore le sue convinzioni, le sue certezze, avventandosi sull’intellettuale, sui suoi dubbi e su un Cristo immaginario (?).

La divisione in tre momenti della messinscena è precisamente architettata dal regista Pietro Babina, non vi sono cesure, tutto scorre armonicamente, un armonia che sottolinea ancor di più la maestria di Umberto Orsini.

Napoli, TEATRO TROISI, 13, Dicembre 2013

Mariarosaria Mazzone

 

LA LEGGENDA DEL GRANDE INQUISITORE Da I Fratelli Karamazov di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, drammaturgia Pietro Babina, Leonardo Capuano, Umberto Orsini

con Umberto Orsini e Leonardo Capuano

regia Pietro Babina

scene Federico Babina, Pietro Babina, costumi Gianluca Sbicca, musiche Alberto Fiori, video effects Miguel Derrico, sound design Alessandro Saviozzi, scenotecnico Filippo Lezzi

produzione Compagnia Umberto Orsini s.r.l.

 

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