“Il servitore di due padroni”, meriti e limiti di Antonio Latella

A quattro anni da “La Trilogia della Villeggiatura” Antonio Latella torna a Goldoni, ancora una volta con risultati controversi.

_DSC0042Non è facile fare sintetiche considerazioni di merito sull’ultimo lavoro portato in scena da Antonio Latella. Si tratta di una riscrittura scenica de “Il servitore di due padroni” di Carlo Goldoni, che ha per protagonista la storica figura di Arlecchino. La difficoltà di raccontare la qualità dell’operazione teatrale di Latella è relativa soprattutto alle questioni complesse che la messa in scena scatena alla vista del pubblico: il senso di una riscrittura o attualizzazione teatrale, la tradizione a cui sembra riferirsi, il rapporto tra la scrittura scenica e il canone della commedia dell’arte.

_DSC0325Latella, probabilmente il più interessante regista italiano degli ultimi anni, rivendica ancora una volta la necessità di affrontare alcuni classici della tradizione teatrale italiana a partire da un confronto serrato con la realtà contemporanea. E lo fa senza paura, provocando anche delle forti fratture filologiche per aprire nuovi orizzonti scenici. Questo è certamente un merito.

_DSC0388Pur omaggiando ad avendo come punto di inevitabile confronto l’opera di Giorgio Strehler e le storiche interpretazioni di Arlecchino di Moretti e Soleri, Latella cancella dal titolo il nome della maschera per ritornare ad una certa originalità goldoniana. Il passo estetico che sembra portare avanti è tuttavia di legare l’opera del Settecento, come ha già accennato Gianni Manzella, alla (non) tradizione dell’avanguardia teatrale italiana. Questo è certamente un grande merito.

_DSC0413La messa in scena parte in un corridoi di un grande albergo, tra portieri di notte e cameriere, parte dal testo goldoniano, addirittura dalle citazioni delle prime didascalie, per poi procedere ad una radicale ristrutturazione della scena, che gli attori svuotano e semplificano.  Emerge soprattutto un arzigogolato discorso meta-teatrale sul potere, sul danaro, sulle relazioni sessuali, sulla menzogna. Infine, questa scrittura scenica si confronta necessariamente con la tradizione della commedia dell’arte. Forse proprio quest’ultimo elemento può rendere il forte limite dell’opera di Latella, che decostruisce, e di fatto  annulla, la spavalda e menzognera goliardia scenica che ai comici del passato era concessa dagli scenari seicenteschi. Che costringe Arlecchino a togliere la maschera, senza riuscire a dare al suo viso sofferente un nuovo senso. Che gioca con una messa in scena forse troppo prolungata.  Nella seconda parte il senso della narrazione è quasi azzerato, si procedere principalmente nello smontare il palco. Si capisce poco, ci si annoia tanto, si riflette troppo. Questo, a teatro, è davvero un vero limite.

Napoli, Teatro Bellini – 18 febbraio 2014

Roberto D’Avascio

     

IL SERVITORE DI DUE PADRONI da Carlo Goldoni drammaturgia Ken Ponzio

regia Antonio Latella

con  Giovanni Franzoni, Elisabetta Valgoi, Annibale Pavone, Rosario Tedesco, Federica Fracassi, Marco Cacciola, Massimiliano Speziani, Lucia Peraza Rios, Roberto Latini

scene e costumi Annelisa Zaccheria – luci Robert John Resteghini

produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Stabile del Veneto, Fondazione Teatro Metastasio di Prato

 

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