La crisi economica de “Il prigioniero della Seconda Strada”

Può l’ironia affievolire il peso della crisi economica che incombe sulla società odierna?

Maurizio Casagrande e Tosca D’Aquino si adoperano affinché questo avvenga e per tutta la durata dello spettacolo “Il prigioniero della Seconda Strada”, testo di Neil Simon su adattamento e regia di Giovanni Anfuso, sdrammatizzano sulla condizione di alienazione e “prigionia” che attanaglia l’uomo.

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Scenario della crisi è New York, la “grande Mela”, che, nonostante la sua fama di mèta del sogno americano da parte di tanti immigrati e di metropoli all’avanguardia, stavolta amplifica ed acuisce le difficoltà economiche con la stessa crescita esponenziale che la contraddistingue per i primati innovativi.

La fotografia di una realtà dove i grattacieli, il ritmo frenetico metropolitano, i monolocali moderni pieni di ogni comfort, le strade sovraffollate, le multinazionali americane, diventano un macigno nella quotidianità di una famiglia onesta che, per scelta, desidera vivere in una realtà più equilibrata.

Casagrande e D’Aquino, coppia teatrale molto affiatata e ben amalgamata, mettono in scena, prima l’uno poi l’altra, l’insoddisfazione di una vita che li tiene costantemente alla prova.

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L’ironia la fa da padrona ma la pièce non può essere definita brillante. Il primo atto è pieno di ridondanze ed il ritmo della recitazione scorre lento. Nel secondo atto la commedia si fa dinamica e ritroviamo la verve inimitabile dello stile che contraddistingue Casagrande. La D’Aquino non ne è offuscata ma si rivela e conferma una degna coprotagonista della scena.

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Degna di lode la scenografia di Alessandro Chiti che confeziona lo spettacolo a regola d’arte.

 

 

 

Roma, Teatro Sala Umberto, 15 Marzo 2014

Alessia Coppola  

 

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