“Jucature”, una divertente e appagante amarezza firmata da Pau Miro

Janniello firma la regia del testo fresco vincitore dell’UBU, 80 minuti di risate amare sullo squallore umano.

1463108_10202580481103547_1688612442_nEntrare in sala e trovare il sipario aperto ci porta già in medias res introducendoci in modo immediato con la messinscena che sta per iniziare, è così anche per “Jucatùre”. Ci accoglie una squallida cucina di una casa antica, un tavolo al centro con una tovaglia a quadretti blu e bianchi, una poltrona rossa sulla destra, un mobiletto con un vecchio mangiadischi, e sulla sinistra il lavello e il frigorifero. Si percepisce sin da subito lo squallore dell’ambiente che contrasta grottescamente con il sottofondo musicale che accoglie lo spettatore fino a quando non si spengono le luci in sala, il dolce swing di Dean Martin “Sweay”. Inizia la pièce e la desolazione dell’ambiente si rispecchia con la vita dei quattro personaggi, uomini di cui non sappiamo il nome – e non lo scopriremo mai – gli stessi amici tra di loro si chiamano vicendevolmente attraverso soprannomi che dovrebbero corrispondere alle loro rispettive professioni: o’ prufessor, l’attor, o’ barbiere e o’ schiattamuort. Ma in realtà sono degli squattrinati, il professore, il più agée di tutti in piena fase elaborazione lutto, è stato sospeso perché ha aggredito uno studente, il barbiere ha ceduto la sua attività, l’attore non supera provini da mai e continua a rubare nei supermercati alla ricerca di emozioni, e il becchino sperpera – o investe – i suoi soldi in prostitute. Si incontrano a casa del professore per arginare le loro solitudini ma facendolo nel modo sbagliato: giocando d’azzardo e continuando a perdere soldi che non posseggono; quindi anche insieme continuano a essere isole, uomini ripiegati su loro stessi e sui propri fallimenti. L’unico successo che ottengono è la realizzazione di una rapina ma nonostante tutto lasceranno scorrere le loro vite come sempre. Squallore, fallimento amarezza ma con Jucatùre si ride per quasi tutti gli ottanta minuti della messinscena. Non a caso il testo è fresco di vittoria del premio Ubu 2013 come miglior testo straniero, autore il catalano Pau Mirò, già vincitore nel 2012 del premio Butaca come miglior testo in lingua catalana Els Jugadors. Ma noi assistiamo alla versione tradotta e diretta da Enrico Ianniello; tradurre significa “dire quasi la stessa cosa” e Ianniello ci riesce benissimo. Il suo napoletano è immediato, attuale, a tratti piuttosto colorito, ma godibilissimo, sempre. Anche in quanto regista non sbaglia un colpo, i quattro attori: Renato Carpentieri, Tony Laudadio, Giovanni Ludeno e lo stesso Ianniello, misurano perfettamente i loro movimenti in questo ristretto e decadente appartamento non perdendo mai in autenticità, i corpi denunciano la disperazione ma la bellezza di un meraviglioso dialetto – con reiterazione di battute che tipizzano i quattro personaggi – è sottolineata soprattutto dai loro volti. Occhi sgranati, labbra serrate, sorrisi accennati: il fallimento, la rassegnazione, la ricerca di un conforto, tutto attraversa e si legge dai volti di questi quattro inappuntabili e coinvolgenti attori.

Napoli – Teatro Nuovo, 19 dicembre 2013

Mariarosaria Mazzone 

JUCATURE (Els Jugadors, i giocatori) di Pau Mirò traduzione e regia Enrico Ianniello con Renato Carpentieri, Enrico Ianniello, Tony Laudadio, Giovanni Ludeno

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