La drammaturgia emotiva di Anastasi racconta una Sicilia anni ‘80

Io, mai niente con nessuno avevo fatto (3)Un teatro giovane e di talento è quello che vediamo rappresentato al teatro Spazio Uno di Roma, nel cuore della pulsante Trastevere. L’autore nonché regista di “Io, mai niente con nessuno avevo fatto” è Joele Anastasi, 23enne originario della Sicilia, quella terra che conserva la profonda tradizione isolana ma allo stesso tempo cerca di aprirsi e uniformarsi alla cultura del “continente” Italia. La compagnia teatrale Vuccirìa Teatro, costituitasi nel 2012 e di cui fanno parte Enrico Sortino, Federica Carruba Tosano e lo stesso Anastasi, lavora proprio sulla ricerca di un “nuovo” linguaggio autorale che sia l’incontro tra una drammaturgia originale e uno studio attoriale attivo. L’attore, in questo loro progetto, deve sentirsi al centro della scena e deve fare da tramite tra la finzione e la realtà per raccontare allo spettatore “l’io” di quel personaggio che interpreta soggetti ai margini della società e sensibilizzarne la sua emotività.

 La scena, total black, si apre agli spettatori con un unico elemento al centro del palco, un vecchio baule di legno intarsiato. Lo spettacolo prende vita con Giovanni, il protagonista, e Rosaria, la sua inseparabile cugina, che s’inseguono e giocano a cuscinate, recitando interamente in uno stretto dialetto siciliano che enfatizza le loro origini. Con un linguaggio efficace, privo di fronzoli ed emotivo, viene rappresentato il tema dell’omosessualità e della violenza che ne deriva quando si è inseriti in contesti culturali e sociali chiusi, come quello della Sicilia anni ‘80 che Anastasi vuole rappresentare.

 Il testo è caratterizzato da un linguaggio forte, drammatico, carico di espressività corporea e non cade nella retorica tipica della problematica trattata. Sogni giovanili, omosessualità, violenza, AIDS, rabbia, passione sono i leitmotifs che tessono l’intera trama dello spettacolo. Emerge in tutta la sua brutalità e senza veli una realtà che troppo spesso si vuole ignorare ma che urla e si manifesta con forza, quasi a volersi imporre agli occhi di uno spettatore che si sente coinvolto dalle vicende che si succedono sul palco. Ritroviamo anche l’amore, quello incontrastato di Rosaria, dilaniata dal dolore per la malattia che ha colpito il cugino; e quello di Giuseppe che, animato da passione e incontrollabile violenza, si lega a Giovanni da un rapporto che egli stesso non sa definire e spiegare. Nonostante la tragicità che coinvolge il protagonista, l’entusiasmo di vivere non l’abbandona mai, la sua energia e la vitalità superano tutte le barriere contestuali e mentali, proiettandolo in quel mondo parallelo che si è costruito e in cui si sente protetto e libero di vivere le proprie emozioni e i propri sentimenti.

 Gli attori della compagnia Vuccirìa Teatro, seppur giovani, mostrano sul palco sicurezza e professionalità nell’impersonare i ruoli imposti dal copione. La scelta registica di recitare unicamente in dialetto catanese risulta efficace per valorizzare la realtà in cui gli stessi interpreti sono cresciuti, attribuendo la giusta critica a quel contesto sociale che opprime le libertà sessuali ed emotive dei protagonisti e che tende a creare pregiudizio.

Una scrittura entusiasta e di qualità è quella che emerge dallo spettacolo, il giusto ingrediente di cui ha bisogno la drammaturgia per riabilitare la cultura teatrale e concedere nuovi stimoli agli spettatori, anche quelli più âgées.

Roma, teatro Spazio Uno, 27 ottobre 2013

Alessia Coppola

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