«La vita è così ingorda che non si lascia assaporare mai»: Lavia e Pirandello

Ancora Pirandello per Lavia che torna in scena con “L’uomo dal fiore in bocca” al Teatro della Pergola di Firenze.

«Sono vivo, sono vivo mentre finisce questa mia vita». L’uomo, non appena acquisisce consapevolezza di se stesso sa che la sua esistenza avrà una fine, ma cosa accade quando qualcuno ci pone davanti a un’effettiva “scadenza”? È questo il tema intorno al quale ruota “L’uomo dal fiore in bocca”, lo spettacolo che ha inaugurato la stagione del rinnovato Teatro Niccolini di Firenze ma che, per le successive repliche, è stato poi proposto anche sul palcoscenico della Pergola. Gabriele Lavia cura l’adattamento dell’omonimo testo pirandelliano, uno tra i più noti atti unici dello scrittore agrigentino; continua non solo un percorso sul drammaturgo iniziato lo scorso anno con i “Sei personaggi”, ma un vero e proprio focus sul concetto di reale e immaginario sfruttando i testi che parlano di drammi personali o condivisi attraverso le parole di un innovatore del teatro.

In una simbolica sala d’attesa di una stazione di provincia, un uomo perde il treno e dovrà aspettare quello successivo per raggiungere la famiglia in villeggiatura. Una figura un po’ misteriosa, solitaria e solo apparentemente impenetrabile, riempie con curiosi discorsi il tempo di quest’attesa. Non succede niente, non ci sono vere azioni, si tratta solo di un dialogo tra sconosciuti che assomiglia più a un monologo in cui a parlare davvero è uno solo, senza che sia lasciato troppo spazio all’altro. Michele Demaria interpreta il ruolo del viaggiatore in ritardo, l’«uomo pacifico» che se ne sta lì ad ascoltare le riflessioni di uno sconosciuto e il suo evidente desiderio di parlare, di condividere con qualcuno il fiume in piena che ha dentro. Il pacifico avventore non sembra neanche aver mai pensato, prima d’ora, alla possibilità di osservare la vita da una prospettiva tanto diversa, meno piatta e meno monotona della sua. Se ne sta lì, bagnato come un pulcino ad ascoltare discorsi sull’infinito, sulla formidabile grandezza dell’uomo, sulla bellezza che risiede nei dettagli, con quel modo curioso di stare seduto senza poggiare mai i piedi a terra. C’è anche un terzo personaggio, una donna. Barbara Alesse veste i panni della moglie dell’uomo che non si presenta mai, una figura quasi spettrale che osserva, senza mai avvicinarvisi, un marito che ha scelto di passare il proprio tempo in una stazione abbandonata invece che a casa.

Appare e scompare come un fantasma, questa donna, sembra effettivamente un personaggio evanescente, dai confini non definiti per la luce che appena appena la illumina dietro a quel vetro un po’ opacizzato dall’aria umida di un temporale estivo. Non lo lascia solo un istante: arriva, lo osserva, poi se ne va. Ripete questo per tutta la notte dimostrando solo tutto il suo più genuino amore. Un affetto rifiutato, negato e respinto dallo sconosciuto che non sembra accettare il gesto d’affetto della moglie, un vero e proprio fastidio da scacciare via, come il pensiero di non avere abbastanza tempo da vivere. luomo-dal-fiore-in-bocca_09

Quel “fiore” che porta in bocca, infatti, è un’«epitelioma», un messaggio che ha lasciato la morte sulla sua pelle come un avvertimento, come a dire «ripasso tra un po’, goditi quel tanto che ti resta»; questa consapevolezza lo porta a voler credere che la vita è piena di cose futili ma istante dopo istante non fa che ri-scoprire il vero valore di tutte quelle cose che solo in apparenza sembrano irrilevanti. Una sofferenza che si nasconde nelle stanze più intime dell’animo umano, che porta inevitabilmente ad apprezzare anche i gesti più meccanici e insignificanti insiti nella quotidianità di ognuno. Ciò che gli permette di rimanere attaccato così ostinatamente alla vita è l’immaginazione, il solo guardare i treni che si allontano fantasticando sui luoghi in cui andranno a perdersi le persone, gli stessi in cui, probabilmente, ha vissuto anche lui.

«Ho bisogno di vedere i treni che passano, uomo pacifico. C’è tanto mondo lontano dove i treni si avviano, tante città», ammette con tutta la tenerezza di chi apertamente si confessa in tutta la sua tacita disperazione. È per questo motivo che prova così tanta insofferenza nei confronti dell’unica che, col suo incondizionato affetto, rivela la più amara delle verità, questo lento procedere verso la fine. La curiosità, l’allegria con cui commenta anche i più banali aspetti dell’esistenza, l’ironia a tratti quasi sarcastica con cui parla del rapporta tra «uomo, donna, la marito e il moglie» sono tutti aspetti che continuano a sottolineare un finto disprezzo tra il bisogno di vivere e un amaro e desolante sopravvivere.

Bellissima anche la scenografia disegnata da Alessandro Camera, imponente, curata nel dettaglio, tutta realizzata nei laboratori del Teatro della Pergola che si è messa all’opera appositamente per questa sua produzione. Di grande impatto anche le luci che restituiscono realisticamente le immagini di un treno che passa, si arresta e poi se ne va. Dopotutto perdere un treno può rappresentare l’occasione, del fato o del destino, per capire che forse, certe strade, non eravamo destinati a percorrerle.

Firenze – TEATRO DELLA PERGOLA, 2 novembre 2016

Laura Sciortino

L’UOMO DAL FIORE IN BOCCAdi:Luigi Pirandello; adattamento: Gabriele Lavia; con: Michele Demaria, Barbara Alesse; scene: Alessandro Camera; costumi: Elena Bianchini; musiche: Giordano Corapi; luci: Michelangelo Vitullo; regista assistente: Simone Faloppa; regia: Gabriele Lavia; scenografo assistente: Andrea Gregori; assistente alla regia: Lorenzo Terenzi; suggeritrice: Chiara Ciofini; direttore di scena e allestimenti: Stefano Cianfichi; capo macchinista: Adriano De Ritis; fonico: Riccardo Benassi; sarta: Piera Mura; amministratore: Filippo Rossi; scenografia: stata realizzata interamente nei Laboratori del Teatro della Pergola, macchinisti costruttori: Duccio Bonechi, Adriano De Ritis, Sandro Lo Bue, Loris Giancola, Stefano Mazzola, Francesco Pangaro, Filippo Papucci, Massimiliano Peirone; pittori scenografi: Giorgia Denti, Paolo Ferrari, Emiliano Gisolfi; realizzazione costumi: Fondazione Cerratelli; accessori: Antonio Gatto, Street Doing; calzature: Calzature artistiche Sacchi; service audio luci: Luce è Firenze; trasporti: M.S.F. Srl Roma; responsabile di produzione: Valentina Di Cesare; produzione: Fondazione Teatro della Toscana in coproduzione con Teatro Stabile di Genova; foto di scena:Tommaso Le Pera

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