Le gabbie di “Otello”…

L’ “Otello” è indubbiamente un dramma di viscere e sangue, passione e carne ma anche raffinatissimi giochi psicologici che scavano a fondo nelle debolezze umane fino alle più profonde meschinità.
Ma più che una facile metafora dell’extracomunitario non perfettamente integrato in una comunità ostile che però ne ha forte bisogno, emerge, a mio parere, molto forte anche il tema della violenza sulla donna evidenziata dal bardo come vero e proprio oggetto da poter distruggere senza troppo pensarci, al solo farsi accecare da una folle ma irrazionale gelosia.
Lo stesso Otello alla fine si dispera più per essersi privato dell’oggetto del suo amore e del suo godimento quanto per l’atto mostruoso in sé. In ogni caso la tragedia resta, anche a livello di scrittura, una delle opere più potenti di Shakespeare.
Quello che colpisce positivamente della trasposizione realizzata al Globe Theatre da Marco Carniti è la maestosità della messa in scena e il grande affiatamento e alto livello recitativo del cast, che regala al pubblico parecchi momenti di fortissima emozione e coinvolgimento. Quello che convince meno è che il pur bravo e ispirato regista abbia, forse per timore di far poco, fatto troppo.
Se alcuni movimenti di scenografia messi in atto dagli attori nel recitare le loro battute appaiono all’inizio funzionali quanto non perfettamente indovinati a lungo andare, soprattutto scivolando nella intensità emotiva della tragedia, vederli continuamente smontare e montare pedane, mettere blocchi alle rotelle, estrarre e rimettere pali (la gabbia poi, non troppo originale come metafora) diventa estenuante e motivo di distrazione tanto per gli attori quanto per il pubblico, costretto a uscire continuamente dalla bella atmosfera nella quale ha voglia di immergersi.
E non aiutano nemmeno le troppe virate alla gag comica, alcune davvero forzate e, talvolta, fuori luogo, nei momenti in cui il dramma prende maggiormente vita e fuoco.
Piccoli, ma non troppo, intoppi che affrontati in altra maniera potrebbero lasciar fiorire appieno la potenziale, e molto spesso reale e concreta, capacità di questo spettacolo di travolgere il pubblico con uno tsunami di emozione e ammirazione.
Al netto di qualche leggera gigioneria e di qualche gag di troppo, val quindi la pena di sottolineare le belle prove di Maurizio Donadoni (Otello) e Gianluigi Focacci (Jago), a tratti veramente ispiratissimi e coinvolgenti, e la passione verace di Massimo Nicolini (Cassio) e Carlotta Proietti (Emilia). Buona, seppure un tantino spocchiosa,  la Desdemona di Maria Chiara Centorami che si riscatta in un finale molto appassionato.
Oggi non è davvero così facile andare a teatro e godersi un dramma per tre ore. Questo Otello, va detto, vince la scommessa e va sostenuto ed applaudito fino alla sua ultima replica (affrettatevi, il 20 settembre).
Roma, Globe Theatre, 17 settembre 2015
Giuseppe Bucci

 

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