“Patria Puttana”, le prostitute di Moscato, seducenti fantasmi di una coscienza collettiva.

MOSCATOC’è qualcosa di languidamente e spleeneticamente carezzevole già nella scelta onomastica del nuovo lavoro di Enzo Moscato, Patria Puttana, scelta onomastica in cui il sentimento nazionalistico, il recupero evocativo di radici ed appartenenze, sembra fondersi con l’antichissima pratica del meretricio, pratica atavica di abbracciamenti venali, notturni inconfessabili soccorsi della carne, inclusione di lombi, espulsione d’umori: lo stesso impasto inscindibile di abiezione e piacere che, senza redenzione, ci vincola per sempre alla nostra terra e alla nostra tradizione. Così nella nuova e attesa pièce del drammaturgo napoletano, si incontrano, si lambiscono, si spiano, quasi si mescolano alcuni dei personaggi più caratterizzanti ed intensi della sua produzione teatrale, tutti contrassegnati dalla pratica abituale della prostituzione, dalla “signora” di Pièce Noir , interpretata dalla bravissima e sensuale Cristina Donadio, al femminiello protagonista di Luparella, a cui dà vita splendidamente lo stesso Enzo Moscato, alle figure femminili enigmatiche e seducenti tratte da successi internazionali come Rasoi e Trianon, rese in scena dal giovanissimo Giuseppe Affinito. In un’atmosfera al tempo stesso dark e delicatamente romantica, incontriamo i protagonisti di Patria Puttana come fantasmi sospesi e ingabbiati in una dimensione corrotta e senza tempo, dimensione che trasforma le indimenticabili creature letterarie di Enzo Moscato in prototipi universali di pulsante umanità, divinità profane di un empireo di vicoli, bordelli ed eterni sodalizi, divinità con cui solidarizziamo immediatamente, scorgendo qualcosa che ci appartiene nei loro più minuti movimenti, nei loro più labili trionfi, nelle loro più oscene paure e nelle loro più ingenue lusinghe. Ancora una volta, dunque, il teatro di Enzo Moscato è innanzitutto un’esperienza poetica, tentativo del tutto riuscito di portare sulla scena l’espressione verace di un’irrazionale e bruciante autenticità, quell’autenticità che, pur apparentemente estranea alle nostre più conformiste e pacificate esistenze borghesi, ci vive sottopelle, quotidianamente, come la più sublime delle dannazioni e la più infernale delle laiche canonizzazioni.

Napoli – Sala Assoli, 25 marzo 2014

Claudio Finelli

 

 

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