“L’ingegner Gadda va alla guerra” o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro: critica alla ragion pratica di una nazione

Al Teatro della Pergola un inarrestabile Fabrizio Gifuni per la regia di Giuseppe Bertolucci.

Marco_Caselli_Nirmal_M160_367-386x580“Che cosa fai tutto il giorno, non ti muovi mai?” “No: non mi muovo”. Rispondeva così Carlo Emilio Gadda alle domande delle persone indaffarate che a lui si rivolgevano curiose. Vissuto nella capitale della Repubblica a una decina di chilometri dal centro, consolato nottetempo dagli ululati dei lupi, lo scrittore milanese, nonché poeta ed ingegnere, è il personaggio ispiratore dell’ultimo lavoro ideato da Fabrizio Gifuni, “L’Ingegner Gadda va alla guerra”, per la regia di Giuseppe Bertolucci. Il loro sodalizio artistico comincia nel 1998, con l’edizione dell’Arialda di Testori su Radio 3. Bertolucci da allora si rivela un prezioso compagno di viaggio, condividendo con Gifuni anche il Premio Ubu 2010 come ‘miglior spettacolo dell’anno’ e come ‘miglior attore’ per quest’ultima pièce, che rinnova la vita e il pensiero di Gadda, una delle voci più interventiste del ‘900. Partendo da “I Diari di guerra e di prigionia”, veritiera ricostruzione di quella che fu la sua partecipazione al primo conflitto mondiale, Gifuni si appresta a circumnavigare tutti i peripli armigeri che hanno visto l’autore lombardo diretto protagonista dell’atroce massacro. Un peregrinare ‹‹indolente e frustrante›› il suo, riadattato dall’attore romano sottoforma di soliloquio incessante e vorticoso che ci riporta fino all’attuale presente, per rivelare il destino di un popolo condannato alla disfatta morale, dove ‹‹tutti si levano dai propri posti quando le responsabilità stringono››. Quella di Gifuni si presenta come una gravosa ricerca non solo sulla guerra, ma anche su noi stessi, soldati ormai privi dell’amor di patria, surrogati militari disposti a farci comprare dal miglior offerente in campo. Un monologo disarmante quello da lui interpretato, avvolto “dall’isolamento spirituale” che alimentava lo stesso Gadda nei suoi dissacranti diari di bordo degli scontri bellici contesi in prima linea. Un racconto fedele che ben fa intendere l’aspetto terrificante del conflitto armato, le condizioni estreme, le morti, l’amara rassegnazione, ma anche ‹‹il coraggio eroico che occorre per restare fermi davanti all’artiglieria nemica››.

Come il principe danese Amleto, anche Gadda e con lui Gifuni sperimentano, in tempi differenti, una vergognosa sconfitta dal retrogusto velenoso e mortale, un tradimento al sapore di ‘Giusquiamo’, che con brutale vigliaccheria  uccise sia il re di Danimarca che lo stesso amato fratello di Gadda, Enrico, durante un incidente aereo nell’aprile 1918. Sembra essere questo il prezzo più spietato da pagare, la metafora trasfigurata di come ‹‹la guerra può devastare un uomo››. Appare chiaro e tagliante il giudizio che non lascia spazio a dilemmi amletici – «se sia più nobile soffrire i colpi di fionda, o prendere le armi contro un mare di affanni e, contrastandoli, porre loro fine» – ma proclama a gran voce la sentenza definitiva: ‹‹Oh italiani di tutti i tempi e di tutti i luoghi, avete fatto di questa patria un inferno››, un regno ormai intossicato ed infetto.

Marco_Caselli_Nirmal_M160_168-386x580Gifuni, diretto con affezionata perizia da Giuseppe Bertolucci, ci mostra un lavoro sensibile e minuziosamente accurato, centrata sui vizi e i difetti dell’esistenza terrena, sull’inefficacia e la poca consistenza che l’ingegneria umana riesce a realizzare. Ben presto il suo diventa un intenso e profondo sfogo d’essai, una dichiarazione di protesta contro tutte le angosce, le attese, i sacrifici e pure le preghiere costate al popolo italiano, una crociata lamentosa e satirica, violenta e a tratti lussuriosa nella sua forza espressiva. Una manifestazione ribelle non solo davanti alla pazzia della guerra, ma anche di fronte alla corruzione che aleggia nella nostra società, non ancora capace di riscattare le sue vittime, bensì inesorabile preda smarrita, inetta davanti alla sospirata vittoria. Un eco shakespeariano che lo stesso Gifuni testimonia e che racchiude un fondo di verità ancora molto attuale: «Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia». Il suo appare un linguaggio organico e squisitamente scelto, lo scorrere fluido e versatile di uno stile ricercato in bilico tra il dramma più inquieto e l’ironia più sottile che non tradisce mai l’obiettività critica degli eventi. Una drammaturgia senza sbavature, impregnata di pathos bilioso che conduce al peccato originale, vissuto però come atto d’onore, dolce ed amaro in un unico seppur scomodo montaggio. Ma ecco che la disfatta del poeta si imbatte con la resa travagliata dell’attore nell’atto finale: dopo la sconfitta a Caporetto e la seguente prigionia nei campi tedeschi, non resta che deporre l’ascia di guerra e “chiedere al romanzo che dietro questi ettogrammi di piombo ci sia una consecuzione operante, un mistero, le ragioni o le irragioni del fatto”. Solo allora il dolore potrà essere elaborato e le ferite proveranno a rimarginarsi, per lasciare il posto alla solitaria disamina che provi a discostarsi dalle psicopatiche ed erotizzate missive di un paese vittima del delirio narcisistico più patologico. Ricucire i drappi bucati dai mitra magari farà emergere un puzzle di cenci già visti, triste copia di vecchie coperte dalle idee che sanno di naftalina, ma per lo meno ci costringerà a tenere soltanto semichiusi i coperchi intellettivi e tentare l’attesa palingenesi. Un invito tutt’altro che scontato quello di Gifuni e Bertolucci: l’addio sentito alla cecità mentale che toglie il respiro, peggio delle neve nera delle polveri da sparo, verso il recupero dell’utopico discernimento morigerato.

Firenze – TEATRO DELLA PERGOLA, 29 MARZO 2015.

Mara Marchi

L’INGEGNER GADDA VA ALLA GUERRA, o della tragica istoria di Amleto PirobutirroRegia: Giuseppe Bertolucci; Produzione: Teatro delle Briciole Solares Fondazione delle Arti; Ideatore del progetto: Fabrizio Giufini; Disegno Luci: Cesare Accetta; Direttore tecnico: Hossein Taheri; Direttore d’allestimento e fonica: Paolo Gamper; Interpreti: Fabrizio Gifuni.

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