L’inquietante, illusoria anima dei pupazzi

Al festival Incanti – Figure in Viaggio, una suggestiva rassegna di teatro di figura.

Negli ultimi decenni del secolo scorso il teatro di figura ha avuto una notevole evoluzione rispetto al pur nobile teatro delle marionette e dei burattini, custode di tradizioni centenarie recuperate da una maestria che ne restituiva i sapori originali, ma troppo spesso confinato a una fruizione infantile.

Credo sia stato Sisto Dalla Palma, almeno una trentina di anni fa, a far conoscere per primo in Italia uno dei più affascinanti protagonisti di un diverso teatro di figura: l’artista georgiano Rezo Gabriadze. L’autunno della nostra primavera era uno spettacolo rivolto a ogni età, soffuso di una poesia minimalista, con creature aeree e quasi impalpabili animate a vista, simili agli amanti in volo di Chagall.

Da venticinque anni il festival Incanti ospita una rassegna internazionale di teatro di figura, aperta alle sue molteplici declinazioni. Accanto a compagnie storiche e di tradizione, come Carlo Colla & Figli, o le guarattelle napoletane, vi hanno trovato posto le raffinate invenzioni di Guido Ceronetti e le proposte più ardite, provenienti da ogni angolo del mondo.

L’edizione di quest’anno, intitolata “Figure in viaggio”, tenuta dal 2 all’8 ottobre presso la Casa del Teatro di Torino e in luoghi adiacenti, ha mostrato ancora una volta quale fascino, quali spunti di innovazione possano scaturire da questo genere, per nulla minore, di teatro.

Col progetto Accademia, da quattro anni Incanti offre visibilità alle maggiori scuole di teatro di figura europee. Quest’anno è toccato alla Staatliche Hochschule für Musik und Darstellende Kunst Stuttgart (Università statale di musica e arti dello spettacolo di Stoccarda), con la proposta di alcuni saggi.

In Echo of an end Li Kemme, occhiali e capelli corti (salvo un dispettoso codino sulla nuca), salopette a calzoncino, si muove in uno spazio centrale, circondata di strani oggetti tecnologici, che si animano producendo suoni e rumori: vuoi registrati, vuoi creati meccanicamente. La giovane performer li attiva uno per uno, dopo averci spiegato che riproducono i rumori da cui siamo circondati, ma anche quelli che risuonano nella nostra testa. Il ricordo va a certi marchingegni sonori di Luigi Russolo, alle invenzioni surrealiste del primo ’900, qui ingentilite dal porgere accattivante, dall’ironia tenera e sotterranea di Li.

Con Sans titre, Coline Ledoux agisce in una struttura simile alla baracca classica, ma non adopera burattini a guanto, bensì un guanto fatto a maglia che, indossato, diventa un burattino, e si muove in una minuscola scena fatta di rocchetti e gomitoli di filo.

Quasi angosciante Confetti (Coriandoli), ove Emilien Truche, autore e performer, interagisce con un suo sosia, inizialmente seduto all’altro capo di un tavolo ingombro di coriandoli e bicchieri di plastica: un simulacro costruito con un tale accurato, maniacale realismo, che lo spettatore non si rende subito conto della sua natura inanimata, per assumer poi l’aspetto di un cadavere, specchio inquietante del suo manipolatore.

Fra i lavori di compagnie professionali cui ho potuto assistere. La Pelle du large, della compagnia francese Philippe Genty, si presenta come un adattamento per cavatappi dell’Odissea di Omero. Tre artisti, a un tempo animatori e attori, inducono senza sforzo lo spettatore a identificare Ulisse in un normale cavatappi, e a riconoscere in uno spazzolone e in una paletta di plastica una nave greca sbattuta dai marosi. Verdure varie, uno scolapasta a mo’ di elmo, ma specialmente l’ironia beffarda e contagiosa, tutta francese, dei performer (e la fascinosa malizia di Yoanelle Stratman) fanno il resto. Vi si coglie un’affinità (casuale?) con la poetica dei Sacchi di Sabbia, nel loro Sandokan, o la fine dell’avventura; o anche col linguaggio espressivo di un delizioso Heina e il Ghul, una fiaba araba messa in scena oltre vent’anni fa dall’attore marocchino (da tempo naturalizzato bresciano) Abderrahim El Hadiri. Assonanze, o coincidenze, che nulla tolgono alla qualità di uno spettacolo che ha ritmo e rapidità di comunicazione, e supera con agilità l’ostacolo della lingua straniera.

Neville Tranter, nato Australia ma olandese di adozione, è maestro nell’animazione di quelle figure che gli inglesi chiamano muppet (sul calco di puppet, che in inglese indica un’ampia categoria di pupazzi). In Babylon l’animatore entra in scena di quinta, come per caso; ma presto, da dietro una paratia in mezzo al palcoscenico, estrae figure ad altezza d’uomo, dall’intensa caratterizzazione figurativa, quasi mostruose, che si direbbero disegnate dal tratto feroce di Grosz, e dipinte con i colori degli espressionisti tedeschi. Lo spettacolo è percorso da un’ironia impietosa, ai limiti del blasfemo: un Padreterno pasticcione; un Gesù che tiene in braccio un agnello capriccioso; un armatore, probabile trafficante di umani; angeli e diavoli, oltre a vari personaggi di un Medioriente straccione e disperato. Tutti cercano di imbarcarsi su una nave che dovrebbe traghettarli in una sorta terra promessa: una fantomatica Babilonia. Trasparente, ma non didascalico, il riferimento ai migranti di oggi, filtrato da un’aura surreale che, paradossalmente, lo rende ancora più efficace.

Sorprendente la capacità dell’artista di animare i suoi muppet, ora non visibile, ora interagendo con loro, creando nello spettatore, in ogni quadro, ambigua illusione di realtà.

Come nel vero teatro dove, per dirla con Gigi Proietti, “tutto è finto, ma niente è falso”.

 

Claudio Facchinelli

 

INCANTI

Rassegna internazionale di teatro di figura.

Figure in Viaggio.

XXV edizione 2 – 8 ottobre 2018

Torino – Grugliasco – Rivoli

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