Miseria e Nobiltà: un’ovazione di pubblico e critica

La televisione era ancora in bianco e nero. Durante gli intervalli il suono carezzevole di un’arpa accompagnava il placido transumare di un gregge. Non c’era ancora Carosello. Stavano nascendo i primi sceneggiati televisivi (tutti rigorosamente girati in studio, senza esterni). Ma, il venerdì sera, c’era la prosa. Per lo più erano spettacoli ripresi da un teatro, con poche telecamere piazzate in platea.

A sipario chiuso, prima dell’inizio, Eduardo si affaccia in proscenio: “Questa sera debutta Luca, mio figlio. Non è un bambino prodigio: è preparato”.

Luca de Filippo ci ha lasciato poche settimane fa, e la battuta di Peppiniello, pronunciata nel suo ruolo d’esordio (“Vincienzo m’è patre a me”), così come la scena della famiglia che si butta con famelica ferocia su una montagna di spaghetti, sono entrati nella mitologia del teatro italiano.

Michele Sinisi, con la sua riproposta di Miseria e Nobiltà, di Eduardo Scarpetta, tributa un omaggio affettuoso a quelle tre generazioni di teatranti, pur senza rinunciare a una sua lettura originale.

I costumi sono quelli, dimessi, di un proletariato contemporaneo, ma i mestieri rimangono quelli indicati dal testo, già obsoleti alla fine dell’800: salassatore, scrivano.

I primi cinque minuti sono in un dialetto strettissimo, ma non per questo privo di una ruspante valenza comunicativa. Poi, a poco a poco, lo spettatore si abitua al linguaggio del testo (che spazia attraverso varie regioni d’Italia), ed entra nella cifra registica. Comprende la funzione e il senso drammaturgico di quella figura che, pur con discrezione, ingombra il proscenio: lo stesso Sinisi, regista corifeo che, in scena, manovra luci e rimbrotta i suoi attori, come in una prova aperta; imita con la sua voce il suono di un campanello; assume, inopinatamente, il ruolo di Peppiniello, incurante che il personaggio abbia otto anni.

E l’apparente realismo iniziale, indotto anche dal linguaggio arcaico (dove “fà ammore” significa corteggiarsi) e dal sapore di verità della recitazione degli interpreti, vira in un registro diverso, quasi surreale. L’espediente del travestimento, organico alla vicenda, si sviluppa in un vorticoso gioco di teatro nel teatro, dove la gestualità si fa esasperata; i costumi, pacchiani, clowneschi; le caratterizzazioni, mutuate dalle mostruose invenzioni espressioniste di Grosz o di Ensor.

In questa diversa temperatura drammaturgica trovano posto altre efficaci, originali invenzioni registiche: l’intrusine finale di Luisella, che sbuca da una botola, come un’apparizione infernale, a guastare la festa; la surreale valanga di giganteschi bucatini, che cade dall’alto, travolgendo e avvoltolando quel campione di umanità, perennemente affamata; il dialogo fra il giovane conte innamorato e il suo odioso genitore, interpretati da un medesimo attore, in un divertente gioco di trasformismo, complice un armadio rotante.

Ma nel finale, come si intendesse spezzare un incantesimo o svelare il trucco del teatro, Sinisi, con una manovra a vista, rivolge una luce intensa verso gli occhi degli spettatori, e l’omaggio ai Maestri scomparsi si fa esplicito. In una registrazione d’antan risuona la voce di Eduardo De Filippo, in un finale che suo padre, Eduardo Scarpetta, non aveva scritto: una battuta che svela il senso profondo della finzione teatrale, ma anche dell’ambiguo mestiere del teatrante. L’attore, con un espediente drammaturgico che risale almeno a Shakespeare e transita per Pirandello, la pronuncia uscendo, ma solo a metà, dal suo personaggio, Felice Sciosciammocca: “Torno alla miseria, ma non mi lamento: mi basta sapere che il pubblico è contento”.

Una regia intelligente e una squadra di attori bravi ed affiatati dimostrano come sia possibile recuperare un testo storicamente datato, con interventi innovativi – mai cervellotici – ricavandone uno spettacolo godibilissimo e di qualità.

Miseria e Nobiltà, da Eduardo Scarpetta, di e con Michele Sinisi, scritto con Francesco M. Asselta. Scene di Federico Biancalani; costumi di GDF Studio; luci di Rossano Siragusano e Federico Biancalani. Con Gianni D’Addario, Ciro Masella, Diletta Acquaviva, Stefania Medri, Giuditta Mingucci, Donato Paternoster, Stefano Braschi, Gianluca Delle Fontane, Francesca Gabucci, Giulia Eugeni.

Produzione Elsinor. Centro di Produzione Teatrale.

Visto il 30 dicembre 2015 al Teatro Sala Fontana di Milano.

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