“Morte di un commesso viaggiatore” nella nuova versione dell’Elfo

De Capitani convince più come interprete che come regista, nel nuovo ricco allestimento del capolavoro di Miller.

morte-di-un-commesso-viaggiatoreArthur Miller è stato, forse, il primo autore americano a mostrarsi veramente critico nei confronti del sistema del suo paese: se, infatti, con “Erano tutti miei figli” lancia nel 1947 una forte scossa al falso mito dell’eroismo bellico, ed in seguito, con “Il crogiuolo” usa la metafora della caccia alle streghe del XVII secolo per condannare gli orrori del Maccartismo (1953), con “Morte di un commesso viaggiatore” (1949) prende a bersaglio il cosiddetto “sogno americano”, in cui profitto e successo vanno di pari passo, a discapito di una reale presa di coscienza dei propri limiti e delle propria natura, scalfendo, nel difficile tentativo di demolirlo, il pilastro su cui si fonda la società americana. Willy Loman, il protagonista, insegue un successo irraggiungibile, anche a discapito della propria dignità, fino alla morte, pur di non cedere alla realtà dei fatti, e con lui cerca di trascinare in questa assurda corsa i figli, e mentre Happy, il minore, riesce a cadere nell’equivoca lusinga delle aspettative paterne, sarà Biff, il primogenito, colui che maggiormente sembrava poter ottenere gli sperati successi, a mettere il padre di fronte ai fallimenti propri e della famiglia, con la conseguente, tragica, crisi finale.

Portare in scena questo dramma è sempre un’impresa di grande fascino, il personaggio di Willy ha avuto in Italia grandi interpreti, e memorabili sono le due edizioni che il cinema americano ha dedicato, quella con Frederick March nel 1951, e quella con Dustin Hoffman nel 1985. Di certo questo di Miller, insieme a quelli sopra menzionati ed a “Uno sguardo dal ponte”, è uno dei più grandi classici del novecento, uno di quei titoli che trascina il pubblico in teatro per la grande forza drammatica, che, per certi versi, in questi anni di crisi economica, appare quasi come metafora della presa di coscienza da parte della civiltà occidentale, rispetto all’illusoria lusinga del capitalismo.

Elio De Capitani, che con “Il teatro dell’Elfo”, da anni è impegnato nella riproposizione di drammaturgie anglo americane, dai grandi classici quali l’opera di Tennessee Williams, alla saga di “Angels in America” fino al premiatissimo “History Boys”, quest’anno arriva anch’egli, come regista e protagonista, al capolavoro di Miller, e lo fa con tutta la coerenza necessaria, rispetto all’opera ed al suo personale percorso artistico. Come attore disegna un Willy estremamente convincente, sordo alla realtà che gli urla Biff, ingenuo ed inconsapevole, forse, ma sicuramente bugiardo, il processo di rimozione che il personaggio compie nell’interpretazione di De Capitani è assolutamente convincente, ed egli non si preoccupa, come spesso è capitato ai suoi predecessori, di farlo sembrare simpatico, di commovere ad ogni costo, anzi, riesce a renderlo vero e per questo irritante al punto giusto, dandogli una cifra cialtronesca che pare, in certi tratti, di vedere l’altra faccia, quella perdente, del “Caimano” di Moretti di cui è stato interprete. Accanto a lui, però, la compagnia non è altrettanto convincente, certo Angelo Di Genio è un Biff discreto, ma, a nostro avviso, manca in lui quella maturità che renda a pieno la dolenza del suo personaggio, e lo stesso dicasi per Happy, che Marco Bonadei interpreta con eccessivo vigore. Insomma la caratterizzazione dei giovani Logan, ma anche un po’ degli altri personaggi, risulta, a confronto con il lavoro che Di Capitani fa su se stesso ed il ruolo di Willy, vagamente bidimensionale. Cristina Crippa, ad esempio, disegna il ruolo di Linda con delicatezza, ma l’ arrendevolezza sembra fagocitare tutti gli altri aspetti del personaggio. Del resto del cast ci fa piacere citare almeno Federico Vanni (Charley), forse il solo a non cedere alla caratterizzazione tout court. Lo spettacolo, applaudito da un pubblico entusiasta, resta comunque un ottimo esempio di teatro aperto alle grandi platee, grazie all’importanza del titolo, alla riuscita interpretazione del protagonista, ma anche a qualche strizzatina d’occhio di troppo, quali le un po’ forzate scene di nudo (utilizzate anche nella locandina), i mirabolanti movimenti scenografici, con un continuo entrare ed uscire di elementi di mobilio, che se da un lato regalano una vistosa spettacolarità, dall’altro appesantiscono la rappresentazione.

MILANO – Teatro Elfo Puccini, 10 gennaio 2014

Gianmarco Cesario

MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE di Arthur Miller

Con Elio De Capitani, Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Federico Vanni, Andrea Germani, Gabriele Calindri, Vincenzo Zampa, Alice Redini, Marta Pizzigallo

Scene e costumi Carlo Sala,  Luci Michele Ceglia,  Suono Giuseppe Marzoli

Regia Elio De Capitani

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