Rito e libertà nei “Racconti di giugno” di Pippo Delbono

pippo-delbono-in-un-momento-del-toccante-spettacolo-racconti-di-giugno-tra-gli-eventi-del-festival-di-locarno-2009-126992Giugno non è per Pippo Delbono il mese più crudele, ma semplicemente quello in cui è nato. Nello spettacolo “Racconti di giugno”, questo mese estivo diventa una finestra temporale di narrazione, la scaturigine casuale di un racconto teatrale.

Racconto solo apparentemente casuale, come lo sono invece le nascite. Pippo Delbono costruisce uno spettacolo che apparentemente parte dalla sua vita per diventare performance, mentre invece sembra elaborare una molto precisa e convincente strutturazione drammaturgica capace di filtrare alcuni densi inserti legati alla sua esperienza personale per ottenerne una toccante trasfigurazione scenica. Delbono mette piede sul palco, avvicinandosi al proscenio, con un passo che mescola distrazione per la scena e curiosità nei confronti del pubblico. Camicia bianca, pantaloni e scarpe casual, ma occhi brillanti che tagliano lo spazio: sembrano indicare che il suo corpo di attore ha preso possesso della scena stessa. Un tavolino, una sedia, un microfono, una bottiglia, un bicchiere, alcuni fogli. Il suo corpo.

Delbono scruta il pubblico, cominciando la sua performance. Le parole seguono questo momento iniziale, forse iniziatico, caratterizzato da un corpo che proietta subito sul pubblico la sua dimensione scenica attraverso lo sguardo. Il pubblico è in silenzio, le luci sono accese. Le prime parole sono dedicate alla sua infanzia in una famiglia ligure e cattolica. Il riferimento alla religione in questa posizione sembra indicare una strada ben precisa da seguire. Sta per iniziare, forse, qualcosa di importante, una cerimonia laica. Il teatro entra in una dimensione sacrale e rituale, officiata dall’attore Pippo Delbono. Il racconto procede per episodi, alternando momenti lirici, riflessioni, citazioni, danza, bevute, silenzi. Il chierichetto, il lungo amore per un amico, l’eroina, la morte, le partenza e i viaggi, la scoperta del teatro, la malattia e il riscatto, la solitudine e la gioia di vivere e di desiderare.

La costruzione di un racconto di questo tipo, attraverso una drammaturgia efficace, sembra richiedere una certa partecipazione del pubblica. Delbono gioca con gli spettatori nel suo ruolo di sacerdote teatrale, impegnato nella proposta di una scrittura scenica caratterizzata dalla sacralità della visione e dal controllo severo su tutta la messa in scena, che ingloba il pubblico e dialoga con esso. Nell’affascinante, e tuttavia omogenea, traiettoria scenica, che fa da sfondo allo spettacolo, che parte dalla lezione crudele di Antonin Artaud fino ad arrivare al banchetto degli orrori di Sarah Kane, Pippo Delbono pone grande attenzione ad una dimensione scenica che lega palco e platea, concentrandosi sulla stessa concentrazione e sensibilità degli spettatori. Trasfigurando se stesso in un maturo Enrico V di ascendenze scespiriane capace di arringare una folla di spettatori/soldati nel nome della necessità del teatro. Quella di chi non fugge, ma continua a marciare verso un inesorabile scontro finale con la vita, ma attraverso la scena. Rimarcando nel rito collettivo del teatro la possibilità del famoso gesto di libertà in una situazione di costrizione.

Napoli – TEATRO BELLINI, 20 dicembre 2013

Roberto D’Avascio

RACCONTI DI GIUGNO di e con Pippo Delbono
“La curiosità per gli altri.” “Il senso nascosto delle relazioni.” “Il filo rosso degli invaghimenti negli spettacoli.” “La coscienza di una bellezza senza confini nelle storie.” “L’ardore non solo etico nelle scene della vita e nelle scene del teatro.” “Il lato dei desideri non espressi ma mostrati.” “L’estasi delle cose che ti perdono e che gli altri non ti perdonano.” “Le coincidenze (tante) di giugno, il mese in cui sono nato.”
quel qualcosa di se stessi mai detto forse perché mai chiesto.”

 

 

 

 

 

 

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