E la magia di un Sissy Boy ci cambierà la vita

Che cosa siamo, se non ciò che vogliamo essere? Che cosa vogliamo, se non ciò che desideriamo? Intorno a questi due interrogativi, apparentemente semplici e fisiologici, si incardina la storia del protagonista di Sissy Boy, un ormai maturo signor S.B. che ripercorre con ironia e consapevolezza la propria complicata vicenda umana cercando di riassestare le tessere di un’avventura privata e universale al tempo stesso.

Quella di S.B., infatti, è la storia che ha coinvolto, e forse coinvolge ancora, tanti giovanissimi sissy boy, cioè tanti bambini esplicitamente poco virili sottoposti a stupide terapie riparative, orribili e mendaci pratiche pseudo-scienifiche che, non solo rappresentano un vero abominio della psichiatria mondiale, ma sono state, e forse sono ancora, atroci semenzai di sofferenze e mortificazioni future per i malcapitati pazienti.

Così alla perfetta e naturale capacità di autodeterminarsi sin da giovanissimo come felice ed estroverso Maschio-Femmina, i genitori di S.B., mercé la complicità di un orribile “nazi-psicoterapeuta”, reagiscono persuasi di poter prevenire e “curare” l’eventuale omosessualità del figlio e lo costringono nella “gabbia” emotiva della repressione e del disagio, rendendolo un grigio ed incolore uomo-talpa e condannandolo ad una vita senza amori, fatta di menzogne e di crampi allo stomaco, di tentati suicidi e di sensi di colpa.

Galliano Mariani, con calibratissimo equilibrio, ci restituisse splendidamente il percorso identitario del Signor S.B., un percorso che, solo parzialmente riscattato dalla sofferenza, intreccia la vicenda umana di questo ex ragazzino aggraziato con l’evoluzione sociale e culturale del nostro paese.

Una combinazione perfetta di ironia e tenerezza, fragilità, dolore e speranza si fondono coerentemente nella drammaturgia di Franca De Angelis e nell’uso dello spazio scenico immaginato da Anna Cianca e, anche grazie all’inserimento di veloci proiezioni e immagini di repertorio, la storia di S.B. ci consente di seguire il profilo di una società eteropatriarcale, ipocrita e bifronte – la nostra società appunto – che da un lato decreta il successo mediatico di una trasognata ed ambigua Maga Maghella e dall’altro cerca di guarire o ridurre al silenzio un ragazzino che preferisce l’innocua e pacifica eroina incarnata dalla Carrà ai giochi di guerra praticati con indotto conformismo e sinistra legittimazione sociale dai maschietti suoi coetanei.

Roma, Teatro Lo Spazio, 8 febbraio 2014

Claudio Finelli

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