Teatro Tram ,tolti i veli alla nuova stagione

 

STAGIONE 2017/18

IL TEATRO TI TRASPORTA

direttore artistico

Mirko Di Martino

Biglietti:

intero € 12,00

ridotto € 10,00 (under 26, over 65)

Abbonamento linea rossa

8 spettacoli € 55,00

Card spettacoli a scelta:

3 spettacoli € 25,00

5 spettacoli € 40,00

Orari spettacoli:

dal Giovedì al Sabato ore 21.00

Domenica ore 18.00

info e prenotazioni

cell. 342 1785 930

tel. 081 1875 2126

email info@teatrotram.it

www.teatrotram.it

Ufficio Stampa e Comunicazione:

HERMES COMUNICAZIONE

hermes.comunication@gmali.com

Gianmarco Cesario +393804932026

Antonio Mocciola +393920368248

La tag line per la stagione 2017/2018 è “Il teatro ti trasporta”. E’ quello che il TRAM ha cercato di fare fin dalla sua recente apertura, sei mesi fa: offrire al pubblico spettacoli emozionanti, coinvolgenti, sorprendenti, che trasportino gli spettatori nella dimensione dell’evento unico e irripetibile; spettacoli che appartengano al teatro indipendente, creati da compagnie giovani che non abbiano paura di osare e di sperimentare.

Quest’anno, l’offerta del TRAM si fa in due: gli spettatori potranno scegliere di lasciarsi trasportare lungo due diverse linee: la Linea Rossa, dedicata agli spettacoli in abbonamento, e la Linea Blu, dedicata agli spettacoli di Napoli Centrale. La Linea Rossa propone spettacoli selezionati tra le migliori proposte delle compagnie italiane e napoletane, al loro debutto assoluto o alla loro prima volta a Napoli. La Linea Blu è orientata invece sul territorio regionale e cittadino, proponendo una scelta tra gli spettacoli napoletani più interessanti e innovativi.

Oltre agli spettacoli teatrali, il TRAM proporrà anche una serie di eventi, concerti, appuntamenti, seminari, reading, festival, rassegne. Perchè il TRAM è Teatro, Ricerca, Arte e Musica.

Ad ottobre partirà anche il primo anno della Scuola di Recitazione del TRAM, dedicata alla formazione degli attori del futuro, con un’offerta ampia e multidisciplinare.

Resta invariato il costo estremamente contenuto dei biglietti per gli spettacoli: solo 12 euro per l’intero e 10 euro per il ridotto fino a 26 anni e oltre 65, con numerose altre possibilità di sconti e offerte da prendere al volo.

Allora, non resta da fare altro che salire a bordo del TRAM e lasciarsi trasportare dal teatro.

LINEA ROSSA

5 > 15 OTTOBRE: Exploding Plastic Warhol

9 > 12 NOVEMBRE: DUX IN SCATOLA

14 > 17 DICEMBRE: PANENOSTRO

25 > 28 GENNAIO: CELESTE

1 > 4 FEBBRAIO: TRE. Le sorelle Prozorov

22 > 25 FEBBRAIO: DUST TO DUST

15 > 18 MARZO: MALAGRAZIA

12 > 15 APRILE: DENTRO I SECONDI

LINEA BLU

29 > 29 OTTOBRE: FUJE FILUMENA

4 > 5 NOVEMBRE: CORPI SCELTI

16 > 19 NOVEMBRE: EDIP(P)O

30 NOV > 3 DIC: STRAFAUST

13 > 14 GENNAIO: Tempo che fu di Scioscia

17 > 18 FEBBRAIO: PACCHIELLO

27 > 29 APRILE: L’IMMORALISTA

4 > 6 MAGGIO: JAMAIS VU

dal 5 al 15 ottobre 2017

WARHOL

drammaturgia e regia Mirko Di Martino

con Orazio Cerino, Titti Nuzzolese

cast in via di definizione

produzione Teatro dell’Osso

Prima Assoluta

Il TRAM si trasforma in un locale underground della New York degli anni della Pop Art per accogliere l’ultimo grande spettacolo di Andy Warhol. Le superstar della Factory sfilano davanti al pubblico per raccontare il successo e il fallimento, l’arte e la droga, la musica e il denaro: le contraddizioni che resero grande l’arte di Warhol e di-strussero le vite di chi gli stava intorno.

Chi è Andy Warhol? Il più grande artista del Novecento, ovviamente. Oppure no? E’ forse il pittore più famoso della pop art? O è l’icona della New York degli anni ’60? Chi è davvero Andy Warhol? Mai nessun artista è stato così famoso come lui e mai nessuno è stato così criticato e osannato, incompreso e deriso, adulato e strapagato, amato e odiato. Tutti conoscono i dipinti di Warhol, i suoi barattoli di zuppa Campbell, le sue Marylin, le sue scatole Brillo, i suoi fiori e le sue mucche. Ma non basta: tutti conoscono anche Andy Warhol, anzi, la sua immagine è forse perfino più famosa delle sue opere. Eppure, in lui c’è qualcosa che sempre sfugge, qualcosa che si ancora si nasconde al di sotto della parrucca bionda, dietro gli occhiali da sole, oltre le pose da divo. Warhol ripeteva sempre: “Se volete conoscere Andy Warhol, tutto quello che dovete fare è semplicemente osservare la superficie di tutto quello che mi riguarda e mi circonda, le mie opere, i miei film e me stesso. Eccomi qua, non c’è nulla di più di quel che si vede”. Aveva ragione, ma non diceva la verità: Warhol lavorò tutta la vita a costruire un’immagine di se stesso che fosse il più vicina possibile a come lui voleva che fosse. Nella sua figura, verità e menzogna si confondevano continuamente: gli aneddoti biografici ben presto cominciarono a rincorrersi e a contraddirsi, le storie che lo riguardavano si svilupparono, crebbero, si gonfiarono. La realtà diventò leggenda, l’artista diventò mito.

A trent’anni di distanza dalla sua morte (22 febbraio 1987), abbiamo pensato di raccontare Warhol a partire da Warhol, mescolando la sua biografia reale e quella inventata. “Non si butta via niente”, diceva Warhol riguardo alle sue creazioni: noi facciamo lo stesso. Utilizziamo i suoi scritti, le sue opere, e ciò che tanti hanno scritto di lui, nel bene e nel male. Ne viene fuori un ritratto complesso di un uomo alle prese con le sue paure, di un artista innamorato del successo, di un genio che esprimeva le grandi trasformazioni della sua epoca, di un’icona che riuscì a creare un prima e un dopo Warhol, un “before/after”, riprendendo il titolo di uno dei suoi primi dipinti. Ma uno spettacolo che racconta Warhol non può non interrogarsi su quale sia il modo giusto di raccontarlo: sono passati trent’anni dalla sua morte, ma la suggestione della sua arte resta ancora fortissima. Il nostro spettacolo è contamina arte, parola e gesto in un gioco “dentro/fuori”, “vero/falso”, in cui il pubblico potrà riconoscere, oppure no, l’uomo che tutti conoscono.

dal 28 al 29 ottobre 2017

FUJE FILUMENA

scritto e diretto da Peppe Fonzo

con Luigi Credendino

assistente alla regia Katiuscia Romano

produzione Magnifico Visbaal Teatro

durata 50′

Selezione Torino Fringe Festival 2017

Un lavoro ispirato a un personaggio immenso dell’opera Eduardiana: Filumena Maturano. Uno spettacolo che dissacra quest’icona, toglie, nega, sottrae, mettendo in scena una vita parallela, altra e (im)possibile di una Filumena declassata di grado e di spessore, trasformata in un alter ego nero senza scrupoli, senza obiettivi, senza meta. Una riscrittura al “maschile” che apre scenari inediti sul un mondo già ampiamente frequentato da grandi autori, ma in riferimento al genio di Eduardo ricontestualizza in maniera inevitabilmente tragica e comica allo stesso tempo – come sempre fa la napoletanità dei travestiti – una storia di dolore e di sberleffo, di amore e risentimento, di patimenti e vendette. Nasce “una” Medea senza coscienza, un anima in pena, una persona umiliata che si è lasciata andare, seduta su una sedia guarda il pubblico come dal quadrato di un ring, è un combattimento, un interrogatorio, un circo, lei in mezzo è l’attrazione. Il testo gioca sul filo del rasoio spostando il baricentro e mettendo in evidenza la distanza tra due “signorine” di epoche diverse: quella di oggi che vive in un contemporaneo di “munnezza”, alienazione, rassegnazione, ignoranza, angoscia; e quella della favola borghese Eduardiana, un archetipo che pare ormai lontano.

Note di regia

Cosa sarebbe successo se la Madonna non avesse risposto a Filumena nella scena clou del dramma Eduardiano? Come avrebbe reagito Filumena a quel mutismo? Come si sarebbe svolto il dramma senza alcuna risposta? “E figlie so figlie” fa dire Eduardo alla domanda decisa che Filumena porge alla Madonna quando impreca urlando “Sto parlanno cu te… Rispunne!!!” E proprio in questo vuoto, in quest’assenza nasce Fuje Filumena, un’opera provocatoria, dissacrante, che vuole umanizzare, sporcare, portare ai nostri livelli un’icona, una “Santa” del teatro del novecento italiano e mondiale. Un ulteriore volteggio di questa Filumena consiste nel fatto che lei non è più una donna ma un uomo, “nu femmeniello” come si dice a Napoli, che percorre parallelamente le vicende della “mamma delle mamme” per cadere rovinosamente a terra perché non ha diritto ne’ possibilità di avere una famiglia come tutte le altre La nostra Filumena è ferma in una sospensione, un baratro in cui rivive, riesuma, cancella con energia potente attraverso parole disarmanti che come una droga velenosa arrivano lentamente, tramano dal di sotto, strusciano, incollano e trasportano.

dal 4 al 5 novembre 2017

CORPI SCELTI

Trittico carnale

di Angela Matassa, Anna Mazza, Roberto Russo

con Laura Borrelli, Gioia Miale, Imma Pagano

regia Peppe Miale

produzione Suoni & Scene

Tre corpi. Belli, scelti, selezionati. Tre donne. Tre storie. Apparentemente molto diverse tra di loro, le vicende delle tre protagoniste hanno un filo rosso che le unisce e le separa continuamente. Il loro è il linguaggio del Corpo, che parla, comunica, propone. “Corpi scelti” è il progetto drammaturgico di Angela Matassa, Anna Mazza e Roberto Russo che hanno elaborato un testo “trino e uno”, spirato al mondo femminile, in cui dominano l’ironia e il surreale. Il Corpo della donna, o solo alcune parti, diventano metafora dell’oggi instabile e caotico. Il Fisico con la sua forte presenza diviene spunto per un’indagine psicologica ma nello stesso tempo denuncia il Burattino-uomo/Donna che in ogni momento è a un passo dal perdersi, per la crisi, per la fragilità umana, per gli attentati a certezze e valori, che caratterizzano la nostra quotidianità. “Volevo gli occhi blu” di Angela Matassa, “Taglio netto” di Anna Mazza, “Cu-lotteria” di Roberto Russo, diventano l’atto unico “Corpi scelti”, una messinscena divertente e provocatoria che tocca i bisogni reali, i sogni, le illusioni che appartengono a tutti noi. L’azione si svolge in un moderno condominio, in cui le tre protagoniste vivono i propri dubbi come dialogando tra di loro. Il finale inaspettato le farà incontrare in una condivisione surreale e sorprendente.

dal 9 al 12 novembre 2017

DUX IN SCATOLA

autobiografia d’oltretomba di Mussolini Benito

drammaturgia, regia, interpretazione Daniele Timpano

collaborazione artistica Valentina Cannizzaro e Gabriele Linari

produzione amnesiA vivacE

in collaborazione con Rialto Santambrogio, Consorzio Ubusettete

Spettacolo finalista del “Premio Scenario” 2005

Spettacolo finalista “Premio Vertigine” 2010

Selezione “Face à face – paroles d’Italie pour les scènes de France” 2011

Nella nostra bella Italia, tra le due guerre, fioriva in Italia uno statista meraviglioso: Benito Mussolini. Facciamo uno sforzo d’immaginazione collettiva: fate conto che sia io. Morto.

Un attore – solo in scena con l’unica compagnia di un baule che viene spacciato come contenente le spoglie mortali di “Mussolini Benito”- racconta in prima persona le rocambolesche vicende del corpo del duce, da Piazzale Loreto nel ’45 alla sepoltura nel cimitero di San Cassiano di Predappio nel ‘57. Alle avventure post-mortem del cadavere eccellente si intrecciano brani di testi letterarii del Ventennio (Marinetti, Gadda, Malaparte…), luoghi comuni sul fascismo, materiali tra i più disparati provenienti da siti web neofascisti, nel tentativo di tracciare il percorso di Mussolini nell’immaginario degli italiani, dagli anni del consenso a quelli della nostalgia.

dal 16 al 19 novembre 2017

EDI(P)PO

Prima Assoluta

drammaturgia e regia Massimo Finelli

con Patrizia Eger , Giuseppe Giannelli, Michelangelo Esposito, Giovanni Esposito, Daniele Sannino, Gianluigi Montagnaro, Claudia Scuro

musiche originali Duilio Meucci

costumi Esther Varriale

grafica, video, elementi scenografici exstudio

produzione exstudio

E’ una riscrittura in chiave farsesca dell’Edipo Re. L’assunto di partenza è l’irreperibilità ai giorni nostri del dittico potere/responsabilità. L’obiettivo del novello Edipo è questo: evitare ogni responsabilità, rimandare quanto è possibile la soluzione dei problemi, tirare a campare. La vicenda inizia con la peste e il tentativo di scoprirne le cause tramite i vaticinii riportati da Creonte, andato per suo conto all’oracolo di Delfi. L’Edipo Re inizia così, ma la nostra storia prende una diversa piega molto in fretta: Creonte cade da cavallo alle porte di Tebe, appestato anche lui. Il solo messaggio che riesce a verbalizzare è oscuro e tutto da interpretare: “tre soli fonemi articola il caduto…A…I…O!” Tutto inizia e finisce con profezie male interpretate o volutamente distorte. Restano in ballo le questioni poste dall’originale di Sofocle, ma date le premesse cambieranno le soluzioni. Edipo finirà come molti capi del nostro tempo: dall’assoluta inconcludenza alla glorificazione per eccesso di dabbenaggine dei sudditi. Alla fine tutti felici e contenti, come in ogni farsa che si rispetti, in attesa che la peste si risolva da sé: un classico del nuovo millennio.

Note di regia

La condanna che l’Edipo Re di Sofocle si infligge con l’accecamento e l’esilio è un atto politico di testimonianza. Il suicidio di Giocasta la restituisce alla natura: si impicca la madre incestuosa, non la regina. Edipo resta invece un uomo della polis, un politico nell’accezione più alta del termine: la sua assunzione di responsabilità è assoluta. Un Edipo sconvolto e suicida sarebbe umanamente comprensibile, ma il punto chiave della tragedia è nella sillaba che chiude il titolo: Re, ovvero uno che deve restare un esempio tanto nella vittoria quanto nel peggiore dei fallimenti. La polis si fortifica con qualcuno o contro qualcuno. Detto altrimenti: ogni comunità si definisce sulla base di regole e proibizioni condivise; chi detiene il potere dovrebbe incarnarle entrambe. Edipo lo sa e ne accetta il peso, contro se stesso, per la città. Questo Edi(p)po è invece poco più che una bestia affamata, per la quale, con le parole di Giocasta: “…non occorre avere coraggio, bastano complici discreti e nessuna vergogna per farsi re”. E’ il ritratto di uno dei tanti sovrani che eleggiamo di tanto in tanto, quasi per acclamazione; in una cornice di tragedia farebbero una magra figura,  ma una farsa può accoglierli comodamente.

Dal 30 novembre al 3 dicembre 2017

STRAFAUST

scritto e diretto da Massimo Maraviglia

con Giulia De Pascale, Massimo Finelli, Daniele Sannino, Giovanni Scotti

grafica e scene Luca Serafino

costumi Patrizia Baldissara

musiche Canio Fidanza, Massimo Maraviglia

assistenete alla regia Aldo Verde

produzione Asylum Anteatro ai Vergini

Strafàust è una scrittura originale che trova le sue radici ideative in quello che Jan Watt definisce in un suo noto saggio, uno dei miti dell’individualismo moderno: Faust. Più specificamente, il testo assorbe la sostanza narrativa dall’omonima opera di Goethe e, in piccole parti, anche da quella omonima di Marlowe, dal Doctor Faustus di Mann e da Il Maestro e Margherita di Bulgakov. Strafàust, insomma, è l’erede degenere dei Faust che l’hanno preceduto. A differenza dei suoi predecessori, però, Strafàust ha già ottenuto e posseduto tutto, nulla più ha da rivendicare o da desiderare, nessun patto, nessun limite di tempo, nessuna condizione argina la sua infinita possibilità. Cosa accade allora quando nessun desiderio, nessun vincolo o necessità supporta una scelta? Questo è il principio tragicomico di Strafàust (che è un Faust strafatto, stracco, straniato, stramazzato, strabuzzante, stramorto, straniero persino a se stesso), che vaga anestetizzato nell’assenza di orizzonti, condannato a marcire in un’eternità venuta male, immobile e indifferenziata, conseguenza di un abuso di elisir di lunga vita tracannata a garganella. Inerte e immune rispetto a ogni forma di antinomia, privo d’ogni limite, possessore di una libertà incondizionata dunque ineffettuale, Strafàust si è trasformato in un asino di Buridano che – per giunta – non ha neanche fame. Dovrebbe soltanto morire, ma il tepore umidiccio dell’essere nel mondo e l’assenza di attrito con esso, lo hanno precipitato in una sorta di immoto perpetuo dal quale il pietoso e ridicolo Mefisto – con la sua complice Margherita – proverà a salvarlo, per liberare entrambi dal copione già scritto di cui sono prigionieri.

dal 14 al 17 dicembre 2017

PANENOSTRO

testo e regia Rosario Mastrota

con Andrea Cappadona

assistente alla regia Dalila Cozzolino

scenografia Marco Foscari

produzione Compagnia Ragli

durata 53’

testo vincitore del premio “Per voce sola” Teatro della Tosse – Genova

“Cump’il pan del prestín terún”. Giuseppe fa il pane, ama impastarlo e creare i suoi “figli” di farina e acqua; è panettiere da generazioni, figlio e nipote di emigranti calabresi in un nord algido che gli ha regalato la vita; nella sua panetteria intrisa di sud, il panettiere calanordico o nordcalabro perfeziona l’eredità di un mestiere. E’ il panettiere del quartiere, Giuseppe, vive senza falsità, ingenuo, come gli ingredienti amalgamati nella sua umile missione di fornaio. E quella stessa umiltà, palesata con la sottomissione remissiva all’imposizione malavitosa, lo rende inconsapevole finanziatore del meccanismo della onorata ‘ndrangheta calabrese radicata al nord: “Papà pagava e pure nonno pagava”. Anche scorrendo sul binario dritto della normalità, appare, sul regolare percorso delineato, una curva imprevista o un’interruzione netta, inevitabile, e nonostante il protagonista di quella vita provi a nascondersi nell’assoluta trasparenza dell’ordinario, accade che quell’essere invisibile si trasformi in evidenza esagerata, in straordinario emblema di popolarità casuale. La casualità arriva portata dalla rabbia, in modo bestiale, dopo lunghe sopportazioni, ed è bella, intima, solo per un attimo, poi, però, è letale. Perché quell’unica colpa casuale, quell’unico lampo bestiale di umanità, diventano espiazione di un’unica vita. ‘’Rimetti a noi i nostri debiti’’ è prosa avulsa dalla realtà. Farsi giustizia uccidendo, soccombere alla giustizia per avere ucciso, lascia un debito: non avere giustizia.

Note di regia

Panenostro, è una storia d’amore intessuta in un’ambientazione noir. Parrebbe fiction ma scavando all’interno si evince la cruda realtà che lo permea. L’estorsione e l’intimidazione rendono impossibile la conduzione di una vita normale, seppur vissuta nella semplicità di un contesto anonimo e riservato. Quando la contaminazione aggredisce i sentimenti la reazione avviene dettata dall’impulso e la conseguenza è letale. Elementi chiave, semplici come il pane, racchiudono Panenostro nell’alveo del teatro di narrazione, dove la storia raccontata trasuda di riscatto e diventa manifesto di chi non ha la forza necessaria per reagire. Inquadrare il personaggio “semplice” che perde, nonostante l’atto sia di vittoria, è a mio avviso un altro tassello importante del lavoro di ricerca della Compagnia sulla smitizzazione della ‘ndrangheta, ancora una volta (come per L’Italia s’è desta) non ci sono eroi da celebrare, né buoni né cattivi. Apparentemente pare che abbiano perso tutti quanti, sia i buoni che i cattivi, ma in realtà si palesano come vincenti la speranza di cambiamento e l’amore, motore inarrestabile di ogni atto umano.

dal 13 al 14 gennaio 2018

TEMPO CHE FU DI SCIOSCIA

di Enzo Moscato

con Tina Femiano, Carmen Femiano

regia di Mario Gelardi

produzione NTS Nuovo Teatro Sanità

Tempo che fu di Scioscia, tratto da una recente raccolta di racconti di Enzo Moscato, racconta alcuni episodi avvenuti durante le Quattro giornate di Napoli. In scena quattro di undici racconti, sulle Quattro Giornate di Napoli. Ne emerge, attraverso una lingua arcaica e modernissima al tempo stesso, una vivida e vivace descrizione di quei giorni che videro Napoli e i napoletani protagonisti di una piccola rivoluzione. Sono storie partenopee di quotidianità, inserite nel quadro della grande storia del ‘900, il cui filo conduttore non è l’emergere di contrasti sociali, economici o politici, ma la necessità di un recupero della memoria storica collettiva. Attraverso questi racconti coloriti e viscerali, non vi è distinzione tra vincitori e vinti, tra eroi e vittime, vi è la sensazione che tutti i protagonisti, che fanno parte della nostra storia, corrano il pericolo d’essere dimenticati e relegati in un passato lontano.

Per dirla con Moscato: «è un piccolo affresco, senza la solita separazione dicotomica, in bianco e nero, delle cose e le persone, con i Napoletani, puri e buoni, da una parte, e i Tedeschi, bruti e bestie, da quell’altra. Con i martiri e gli eroi, da un canto, e i vigliacchi e gli assassini, simmetricamente opposti a quelli». Il tutto nel Tempo che fu di Scioscia: «proverbialmente riferito a una figura, un personaggio antico, di cui tutti sentono dire, sentono parlare, ma che nessuno ha mai conosciuto o visto, concretamente, nella vita. Le gesta di Scioscia sono, di fatto, temporalmente come relegate dentro una distanza siderale. Come ammantate di un fiabesco, leggendario alone. Ma sono anche – e sempre di più, al giorno d’oggi – come circonfuse dalla malinconia di un progressivo, inarrestabile cader nell’oblio».

Il regista Mario Gelardi racconta il suo lavoro teatrale, spiegando: «Abbiamo scelto quattro dei racconti presenti nel libro: Pedamentina, storia di una madre che ripete ossessivamente i gesti che hanno segnato la morte tragica dei propri figli; Bagattelle per un altro malinteso, squarcio amaro e violento sulla tragica morte di una giovane prostituta; Zwdi Taiblék Waise, romantica narrazione su una cantante cieca ed infine Tizzano, l’avventurosa e brillante storia di un giovane in piazza Dante. Nella nostra messa in scena, i ricordi sulla Napoli della seconda guerra mondiale sono accompagnati dall’eco delle romantiche canzonette dell’epoca, che sembravano evocare un mondo irreale. Abbiamo cercato, insieme alle due interpreti dello spettacolo, uno stile asciutto che mettesse soprattutto in luce l’affabulatoria capacità narrativa di Moscato, che ci conduce in un mondo dilaniato dalla guerra, che oggi non ci appare poi così lontano».

dal 25 al 28 gennaio 2018

CELESTE

con Francesca Borriero, Roberto Ingenito

testo e regia Fabio Pisano

suggestioni sonore Francesco Santagata

produzione Liberaimago

durata 60′

spettacolo in Prima assoluta

Nel 1925 a Roma, nel Ghetto ebraico, nacque da Settimio ed Ersilia, Celeste di Porto. Non si sa molto di lei, ma alle cronache, su qualche articolo di giornale, qualche vecchia ma non troppo logora memoria tira fuori questa vecchia, impolverata ma spietata storia. La storia della “pantera nera”. Di quella bellissima e fatale ragazzina di diciotto anni che, dopo il rastrellamento del ghetto romano ad opera dei tedeschi guidati da Kappler, decide di diventare una delatrice. Di vendere gli ebrei. I suoi concittadini. Inizia così un vero e proprio periodo buio per gli ebrei del ghetto italiano; coloro i quali venivano “salutati” con un cenno della mano da colei la quale era riconosciuta come una delle più belle ragazze di Roma, non aveva scampo. Per ogni “capo”, lei guadagnava cinquantamila lire. E non importa se a finire nelle mani delle camicie nere fossero donne, bambini o uomini. No. La “pantera nera” era indifferente al genere, alle età. Solo la sua famiglia, doveva essere risparmiata. Ma il padre non riuscì a portare questo enorme peso sulla coscienza, e si consegnò alle SS. I fratelli, tra cui Angelo, tanto amato, la rinnegarono. Solo la madre continuò a volerle bene.

Carcere di Regina Coeli, Roma, anno 1994. Sui muri della cella numero 306, terzo raggio, incisa con un chiodo si legge (si leggerà ancora?) la scritta: “Sono Anticoli Lazzaro, detto Bucefalo, pugilatore. Si non arivedo la famija mi e’ colpa de quella venduta de Celeste Di Porto. Rivendicatemi”. Una tragica denuncia in poche righe. Anticoli fu arrestato il 23 marzo 1944 al mattino; un povero ragazzo del Ghetto, si guadagnava da vivere combattendo sui ring di terza categoria. Era sposato da poco e aveva una bambina. Quando andarono a prenderlo riuscì ad abbattere tre militi fascisti prima di essere trascinato in carcere. A denunciarlo era stata Celeste. Quella sera, nel suo ufficio di via Tasso, il colonnello Kappler stava compilando l’ elenco dei 330 italiani di cui Hitler aveva chiesto la morte per rappresaglia all’ attentato di via Rasella e alla strage dei 33 poliziotti tedeschi. Ma Lazzaro Anticoli non avrebbe dovuto morire. Nella lista di Kappler non c’era infatti, il suo nome, bensì quello di Angelo Di Porto, fratello della pantera nera, arrestato lo stesso giorno; all’ ultimo momento il suo posto nell’ elenco, per mano di Celeste, venne preso da Anticoli e Angelo si salvò.

Note di Regia

La storia di Celeste di Porto, nell’infinito panorama delle storie legate al periodo nazista, credo rappresenti un “unicum”, una sfaccettatura totalmente differente dai canonici punti di vista da cui si racconta questo triste avvenimento storico. Celeste è una figura rara, una ebrea, una ebrea che nella sua psiche evidentemente subì lo scatto del classico “istinto di sopravvivenza” che la spinse a commettere atti orribili contro la sua gente. Spietata, sì, e questo spettacolo non ha alcuna pretesa di assolverla, ma di narrare. Di raccontare ciò che lei fece, sforzandosi di immaginare anche il perché, o inventarlo. Perché alcune storie non lasciano traccia, se non una scritta nel muro di una cella carceraria. Una scritta incisa con un chiodo. E con tutta la rabbia di chi non sa.

Dall’ 1 al 4 febbraio 2018

TRE. LE SORELLE PROZOROV

liberamente tratto da ‘Tre Sorelle’ di Anton Cechov

con Roberta Astuti, Sara Missaglia, Chiara Vitiello

adattamento e regia Giovanni Meola

assistente alla regia Annalisa Miele

produzione Virus Teatrali

durata

spettacolo in Prima assoluta

Tre. Le sorelle Prozorov. In Cechov. Tre allora e tre ora. Loro, solo loro. Con un po’ di Irina in Masha e Olga e un po’ di Masha e Olga nelle altre due e tutte e tre ad esser le facce di uno stesso solido a più facce. Come erano, come sono, come saranno. Accompagnarle, affiancarle, ascoltarle. E accompagnandole, scoprire, ricordare, riportare al cuore della faccenda. Di allora e di ora. “A Mosca! A Mosca!”: il mantra, il grido di battaglia, simbolo di un passato solidificato e bloccato nell’ambra della memoria paralizzante, simbolo di un futuro che si vorrebbe accadesse ma che evidentemente non accadrà. Mai. O accadrà senza rendersene conto? La potenzialità dell’accadere che non accade. L’accadere che tradisce la potenzialità e accade. Così, semplicemente. Le tre sorelle sono in ciascuno di noi, nelle infinite sliding doors che le maschere del nostro quotidiano ci mettono costantemente davanti. O addosso.

Dal 17 al 18 febbraio 2018

PACCHIELLO

venditore ambulante di taralli caldi caldi e di guai neri neri

di Pasquale Ferro

diretto e interpretato da Roberto Capasso

drammatizzazione Roberto Ingenito

scene Luca Evangelista

costumi Pina Sorrentino

assistenti alla regia Maria Chiaravalle, Roberto Ingenito

produzione Prospet

durata

Quando passiamo davanti ad un “Barbone” a volte pensiamo e ci chiediamo, quali sono i loro pensieri, il loro modo di vivere, il perché di quella condizione. Domande senza nessuna risposta (ogni storia è individuale), l’autore Pasquale Ferro cerca di “incollare” varie storie minimaliste in un unico personaggio: Pacchiello, ex usuraio, ex uomo benestante i cui soldi provengono da illeciti prestiti. Il motivo scatenante della sua attuale condizione di barbone con l’alibi di venditore ambulante di taralli, si presume scaturita dal grande dolore per la perdita della sua mamma che lo ha indotto ad una profonda riflessione sulla sua condotta di vita, sulla sua condizione di usuraio e sull’aridità dei suoi sentimenti facendone emergere il lato umano e l’enorme senso di colpa che pesa sulla sua esistenza. Pacchiello ricorderà le sue malefatte, a volte in modo grottesco, a volte drammatico, ma anche attraverso divertenti favole che racconterà rivolgendosi a pupi e bambole di pezza, che si scoprirà in seguito non essere altro che il frutto della sua solitudine. Allora troveremo personaggi come “e duie perucchi, la pulzella che puzza, Velo ‘e sposa” e tanti altri ancora. Insomma il dolore dell’usuraio e dell’usurato raccontato in una chiave tragicomica, ambientato in una tipica location “La stazione di Napoli Centrale”.

Dal 22 al 25 febbraio 2018

DUST TO DUST

di Robert Farquhar

traduzione di Massimiliano Farau

con Maria Grazia Pompei, Andrea Bonella, Stefano Patti

regia Guglielmo Guidi

produzione Gitiesse Artisti Riuniti

durata

“Polvere alla polvere” una pièce di drammaturgia contemporanea comica e toccante, in cui si aprono improvvise zone di malinconia e di tenerezza raccontate senza sentimentalismi. Una costruzione drammatica blindata, una sorta di poema per tre voci, dialoghi e monologhi incrociati, frasi lasciate in sospeso, in cui i tre eseguono una partitura verbale ed emotiva dal ritmo strepitoso. Ognuno emerge con il suo assolo per rientrare nell’ensemble in cui riescono a “dialogare” con effetti anche comici. Gli accadimenti di ogni singolo personaggio della pièce, si sviluppano in varie forme che si connettono tra loro simultaneamente, elaborando una molteplicità di significati e che permettono di rendere comprensibile, comunicabile e ricordabile il vissuto. La moderna drammaturgia, soprattutto il filone irlandese, con questo nuovo “straniamento” dona alle emozioni un mezzo potente, suggestivo e più efficace d’espressione. Si “mette ordine”, si dà un senso attivo agli avvenimenti. Il “vissuto umano” dei personaggi diviene esprimibile, semplice e può essere, appunto ricordato. Quello che sorprende di questi nuovi “storytellers” di cui Farquhar fa parte a buon diritto, sebbene inglese, è la continuità e poliedricità della loro scrittura drammaturgica: brevità fulminea delle battute, orecchio sensibilissimo per il ritmo della “lingua parlata” e sintonia immediata che riescono a stabilire con un pubblico giovanile. Raccontano storie che ti stupiscono, ti incantano, ti fanno ridere. Poi chiudono la porta e se ne vanno.

“La storia” che presentiamo è costruita, dall’autore, come una straordinaria e vertiginosa “jam session” verbale orchestrata su dialoghi-monologhi, comici e poetici che s’intrecciano tra loro. La vicenda, si sviluppa intorno al vissuto di tre, non più giovani amici, della Liverpool dei Beatles: …”erano gli anni settanta”… Un’esistenza precaria, la loro, divenuta una “normale” condizione di vita. Tutto ha inizio con la morte di Mick Finnegan. La notizia arriva improvvisa alla sua ex Moglie, Holly e ai suoi due amici Henry e Kevin. Mick bevitore compulsivo e velleitario musicista rock, è caduto dalle scale probabilmente ubriaco, ha battuto la testa ed è morto. Solo la sera prima era a sbronzarsi con gli amici al pub. I tre si ritrovano nel solito locale, il Bull’s Head. La scena del pub è realizzata da Farquhar con una tecnica incalzante da film d’azione. Gli amici stanno rendendo omaggio al morto con abbondanti bevute, ma arriva Holly per organizzare il funerale, ed è già molto sbronza di suo, perché ha scoperto che il dolore per quel bastardo del suo ex marito è insopportabile. Sotto gli occhi di Kev ingaggia una lite furibonda con Henry: una scazzottata emotiva, come la definisce il drammaturgo inglese. Lei accusa Henry di aver rovinato Mick ed essere responsabile della sua morte. Farquhar affida a Kev un personaggio bellissimo, giocato in minore. È uno quasi trasparente, non ha “carisma” dice Henry che fa il duro, ma invece è un nevrotico fragile come un bambino. Kev è l’amico di sempre, ha la mamma con l’alzheimer, forse non si sbronza come gli altri; anche se nessuno sembra ricordarsi che esista. Lui è lo spettatore/regista, il testimone, l’angelo custode. Il finale della commedia inizia dopo il funerale alquanto sgangherato e comico. Ed è un altro regalo di Kev che carica sulla sua vecchia Austin Holly ed Henry e con le ceneri di Mick punta verso la Scozia: il sogno di Mick, andare a vivere in quell’estremo lembo di terra prima dell’oceano atlantico. Parole, sentimenti, congedi s’intrecciano tra loro sotto un cielo che alterna sole e nuvole e ora staglia ora cancella le loro ombre.

Dal 15 al 18 marzo 2018

MALAGRAZIA

ideazione e regia Giuseppe Isgrò

drammaturgia Michelangelo Zeno

con Giuseppe Isgrò e Dario Muratore

architettura del suono Stefano De Ponti

immagine Francesca Frigoli

uno spettacolo di Phoebe Zeitgeist

in co-produzione con Piccolo Teatro Patafisico, Palermo

” La grazia per voi, e ne avete dato prove sanguinose, può consistere soltanto nella pratica comune dell’iniquità individuale.” Pierre Klossowski

“ Isola, isole: un convoglio di topi all’orizzonte nell’occhio della notte.” Basilio Reale

La grazia che santifica, la grazia che libera, la grazia che uccide. Il grande disegno, l’elevazione di sé al di sopra di sé, la fuga dell’uomo dal corpo che per realizzarsi ha bisogno del sangue degli ultimi, dei reietti, dei topi. Due fratellini orfani alle prese con le paure dell’ infanzia, il desiderio di diventare grandi e la solitudine del volo; si inventeranno mondi passati e presenti, alle prese con pestilenze immaginarie e doveri di stato, fino alla ricerca ultima delle loro origini. In un territorio sospeso, animato da presenze affilate e pericolose, attraversando situazioni cangianti e identità impossibili e dolorose, ciò che resta a queste creature isolate per andare avanti, non è altro che il desiderio di un’identità che plachi le eterne tensioni fra l’alto e il basso, fra il superno e l’infimo. Fino alle tragiche istanze finali. L’oblio delle scelte fatali. Questo è il luogo dove si sviluppa malagrazia, il nuovo lavoro di Phoebe Zeitgeist che mette in scena la vertigine emotiva di un’umanità dilaniata dalla paura di restare sola con sé stessa.

Il processo attraverso il quale Malagrazia è giunto alla sua versione definitiva, si sviluppa a tappe – Isole, attraversando, per circa un anno, diversi luoghi che ne segnano l’evoluzione e ne nutrono la poetica e l’estetica. Ogni luogo attraversato è sperimentato come un’Isola della ricerca o un Approdo dell’andare in scena.

Dal 12 al 15 aprile 2018

DENTRO I SECONDI

di e con Antonello Cossia

produzione Altrosguardo

Protagonisti nell’ombra. Uomini che navigano non a vista per mostrarsi nel momento del bisogno. Accompagnatori preziosi dei primattori, spesso protagonisti essi stessi, mai avvezzi però al titolo in maiuscolo degli articoli di giornale. Presenze fondamentali, al fianco di campioni le cui vittorie sono sovente il prodotto del lavoro di questi insostituibili, spalle preziose su cui poggiarsi quando la fatica diventa terribile: sparring partner, gregari, compagni d’avventura. Storie di sport, alcune entrate con dolce prepotenza negli annali, esistenze di uomini votati al silenzio e al sacrificio, una galleria popolata dagli ultimi che sono diventati primi per un giorno o per un attimo. Gli ultimi che diventano primi, e talvolta primi s’inventano davvero. È l’immutabile magia dello sport.

L’idea per la realizzazione di questo spettacolo si basa sul libro scritto da Franco Esposito e Dario Torromeo: “Dentro i secondi” (Absolutely Free Editore), in cui gli autori spaziando su un ampio arco sportivo, tracciano trenta ritratti in cui più che la gloria, c’è la fatica di personaggi che appunto sono scavati nell’ombra, dove i riflettori non riescono ad arrivare, eppure abbiamo vissuti preziosi poiché senza la tenacia di costoro, tanti campioni non sarebbero saliti sul gradino più alto del podio, non avrebbero conquistato nelle varie discipline indagate quelle vittorie che li hanno consegnati attraverso il bacio della gloria alla Storia mondiale dello sport. Dal calcio al pugilato, si snocciolano i racconti dei “secondi” che non corrono solo di lato o stanno all’angolo, ma hanno stoffa e talento di livello, che sacrificano e mettono a disposizione di altri per i motivi più diversi. Campioni con poca gloria a cui è solo capitato di essere contemporanei di altri ancora più grandi e più luminosi come Jimmy Ellis, che fu allo stesso tempo sparring-partner ed anche avversario di “un certo” Cassius Clay-Muhammad Alì, sempre con molto rispetto reciproco. Come Giovannino Corrieri, gregario di Gino Bartali, la maglia rosa più veloce della storia: la indossò a mezzogiorno, la sfilò qualche ora dopo, quando Koblet vinse la tappa del pomeriggio che avrebbe portato fino al termine del Giro 1950. Poche ore di gloria, una vita ad accudire Bartali in bicicletta. Tempo votato a sacrificarsi per il capitano nonostante una segreta ammirazione per Coppi. Il ciclismo e il pugilato sono i più grandi fornitori di storie, ma c’è anche il calcio, l’atletica leggera, il canottaggio. Ritratti di accompagnatori preziosi, spalle fondamentali alle quali appoggiarsi quando la fatica diventa terribile. Vite da gregari, dunque, termine di cui non si abusa. Agonisti formidabili, votati alla discrezione, non attratti dalla pubblicità, abituati a sudare nel silenzio e nel sacrificio, lavoratori ostinati, coraggiosi, generosi. Non sono questi i vincenti da copertina, ma che risultano fasulli alla prima sconfitta, sgretolandosi in mille distrazioni che li allontanano dal percorso. Invincibili, non come chi vince sempre, ma come chi non si dichiara arreso ed è pronto a battersi di nuovo, ancora e a oltranza. Questi sono vincitori veri, pronti a rialzarsi dopo ogni caduta, a riprendere il cammino senza pensare al traguardo ma vivendo fino in fondo il viaggio che dona valore all’esistenza, senza mai dichiararsi arresi, appunto. Non sognatori ma visionari con i sensi ben presenti, come il chisciottimista di Erri De Luca, che persegue la sua missione e la vuole realizzata nel presente, senza sognare e desiderare altri mondi possibili e utopie di felicità. Uno che batte le strade del suo tempo riparando i torti. Uomini a loro modo simboli nello sport e nella vita. Questo spettacolo racconta di loro ed è a loro dedicato.

Dal 26 al 29 aprile 2018

L’IMMORALISTA

di Luisa Guarro e Antonio Mocciola

liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Andrè Gide

da un’idea di Antonio Mocciola consulente, esperto letterario, per l’interpretazione del testo.

adattamento e regia di Luisa Guarro

Prima assoluta

Quella che vi raccontiamo è la storia di Michel e Marceline, giovani sposi appartenenti all’alta società colonialista francese di inizio novecento. La loro è prima di tutto la storia di una coppia infelice, intrappolata in un perpetuo “viaggio di nozze”. L’infelicità di cui soffrono non è dovuta tanto alla mancanza d’amore, che entrambi sinceramente cercano di imparare, ma ad una più profonda condizione di costrizione. La costrizione asfissiante di una educazione morale rigida, che impone modelli di vita assoluti e angusti, di un sistema sociale ipocrita, che inquadra a danno dell’autenticità. La repressione dell’autenticità debilita e fa ammalare. Il primo ad ammalarsi è Michel. Per guarire egli fa appello alle sue forze vitali e istintive, entra in contatto con le proprie pulsioni e le proprie voluttà, “per imitazione della salute dei selvaggi bambini conosciuti in Africa” sperimenta viscerali sussulti di vita, si ribella alla costrizione e con entusiasmo scopre la sua omosessualità. Ma i suoi impeti istintivi, risultano inadeguati, totalmente inconsapevoli e incontrollati, in quanto non accordati alla realtà e alle relazioni nel corso di una libera crescita. Marceline, dal canto suo, assorbita dal suo progetto di vita cattolico, borghese e ben pensante, non ha possibilità di salvezza. Irrimediabilmente lontana da ogni autenticità, combatte la “sconsiderata” ribellione di Michel. Diventa riferimento materno, amorevole e severo; disposta ad accondiscendere alle stravaganze, alle insofferenze e alle tendenze omosessuali e pedofile di Michel, ha come unico obiettivo trattenerlo entro i limiti del suo rigido disegno. Marceline non aiuta Michel ad indirizzare le nuove energie, lascia che egli compia degli errori, che ne soffra e torni continuamente sui suoi passi, disperato e domito, fino a quando quelle energie esplodono e diventano inarginabili..

Dal 4 al 6 maggio 2018

JAMAIS VU

drammaturgia e regia Eduardo Di Pietro

con Mario Autore, Giulia Esposito, Michele Iazzetta, Cecilia Lupoli, Giulia Musciacco, Alessandro Paschitto

scene Marco Perrella

costumi Monica Favella

elaborazioni musicali Mario Autore

assistente alla regia Fabrizio Cavaliere

produzione Collettivo Lunazione

Un gruppo di terroristi si riunisce poche ore dopo una rapina alla Banca Nazionale, il cuore di quel sistema economico e sociale al quale si dicono di attentare. Ma un incidente ha rovinato l’azione e ora ciascuno dei criminali denuncia una parziale amnesia: tutti hanno perduto frammenti di memoria e, soprattutto, nessuno rammenta dove siano i soldi della refurtiva. Una ricercatrice in rovina, un imprenditore fallito, un ex operaio e sua moglie, sono questi gli anarchici autori del gesto, paradossalmente innocenti di fronte all’imprevisto, vittime del caso. O forse di fatto carnefici, sostenitori della dittatura più pesante da rovesciare: quella del denaro.

Note di regia

Lo spettacolo è comico. Fa ridere. Questa premessa è necessaria per lo spettatore che si arrischierà a leggere il seguito. La drammaturgia di Jamais vu è rimasta covata per diversi anni: l’idea di base prende le mosse da quella cronaca che costituiva l’attualità, nel periodo successivo all’appena rivelata crisi economica. L’evento convenzionalmente individuato nel 2008, protraendosi nostro malgrado, ha di fatto declinato in maniere infinite – eppure consimili – il disagio stagnante e teso nella società occidentale. Ha funzionato da cartina al tornasole per evidenziare rapporti di potere e dinamiche relazionali già ampiamente in atto ma infine esasperate, a denuncia di una crisi anzitutto antropologica. Abissali e frustranti, nel paese le disparità portano tuttora strascichi di emarginazione, suicidi, ingiustizie. Un dramma sociale talmente profondo e articolato, da risultare insondabile alla sola immaginazione. Tali occasioni sono il segnale di un privilegio, s’intende: quello del non esser stati abbattuti trasversalmente, quali vittime lievi di quei drammi stessi. Partendo da tutto ciò, Jamais vu si svolge attraverso due riflessioni: la prima intorno alla memoria di ciascun individuo in quanto membro di una collettività, con la successione dei tre momenti che organizzano la messinscena – Amnesia, Ricordo e Memoria. Pur nella consapevolezza di un’iniquità vertiginosa e della sofferenza sociale diffusa, vivere e perseguire la serenità personale richiede in ciascuno il voltare lo sguardo, la necessità di dimenticare più o meno a lungo l’Altro, le altrui condizioni. Che questa dimenticanza sia soppiantata dall’ignoranza o che sia mascherata da presunta impossibilità d’azione, noncuranza o qualsivoglia ordine di priorità – “tengo famiglia”, – qui poco importa. Le categorie di personaggi coinvolti nella messinscena abbracciano degli ideali di cambiamento sociale, reduci dalla violenza della miseria. Ma ben presto quegli ideali sono persi di vista. La seconda riflessione, la più impegnativa e vaga, riguarda la realizzazione individuale di ciascuno, la possibilità in tal senso di scegliere. Viviamo un mondo che in maniera sempre più spietata preserva il potere, sacralizza il consumo, privilegia la produttività. Da una parte l’esistenza si allunga, dall’altra si dovrà lavorare di più. Diritti acquisiti con il sacrificio, vengono rinnegati. Quanto siamo consapevoli oggi dell’importanza sociale delle istanze di trasformazione, delle spinte antisistema? E quanto questi orientamenti difettano ormai di un’organizzazione di pensiero organica e focalizzata? In altre parole, abbiamo provato a chiederci “quando è diventata infelice la vita” e cosa siamo in grado di fare ancora per dirci degni di avere vissuto.

PROGETTI SPECIALI

date da definire

LA TEMPESTA

da William Shakespeare

con gli allievi del laboratorio NELLA TEMPESTA condotto da Pino Carbone

Un progetto di alta formazione destinato ai giovani attori. Sotto la guida del docente/regista, gli allievi entreranno nel mondo di Shakespeare attraverso il lavoro su uno dei testi più affascinanti e magici del grande scrittore. Il laboratorio si svolgerà nel corso della stagione terminando nel mese di maggio.

date da definire

SPETTACOLO VINCITORE DEL PREMIO REBU’

Il Premio Rebù è un progetto per il sostegno alla produzione di spettacoli teatrali inediti e ispirati alla drammaturgia classica. Destinato alle giovani compagnie della Campania, mette a disposizione fondi, risorse, sala prove, contatti. L’obiettivo è favorire la crescita delle realtà più promettenti del teatro regionale.

EVENTI E RASSEGNE

dal 17 al 22 ottobre 2017

I CORTI DELLA FORMICA

Festival di corti teatrali – XII edizione

direzione artistica Gianmarco Cesario

“La corte della Formica”, classe 2005, cambia (in parte) il titolo, ma la formula rimane la stessa che ha appassionato in questi anni il pubblico napoletano. Giunge, infatti, alla sua dodicesima edizione uno dei Festival di corti più longevi d’Italia, che troverà quest’anno casa al TRAM.

15 corti teatrali che avranno come tema “Guerra e Pace” saranno scelti in queste settimane per approdare (tre per sera) dal 17 ottobre sul palco che sembra nato apposta per ospitare iniziative del genere. Un’intera settimana dedicata alle proposte teatrali più interessanti, originali, affascinanti, con l’unico vincolo, a parte il tema, della durata entro i 20 minuti. Una giuria di giovanissimi (è questa una delle novità di quest’anno) scelti tra gli studenti di alcune scuole superiori napoletane, avrà il compito di eleggere il corto vincitore, e menzionare il miglior interprete, la miglior regia, ed il miglior testo, mentre una giuria di giornalisti sceglierà il vincitore del premio della critica.

date da definire

RASSEGNA DI CONCERTI

Una selezione delle migliori giovani proposte della scena musicale napoletana: jazz, musica d’autore, etnica.

date da definire

TEATRO MATCH

Il popolare format creato e diretto da Gianmarco Cesario, giunto alla quinta edizione, farà tappa al TRAM. Una serie di incontri gratuiti in cui il pubblico sarà il supremo giudice. Dopo aver proclamato la vittoria, negli scorsi anni, di Bertolt Brecht, Annibale Ruccello, Achille Campanile ed Oscar Wilde, il pubblico sarà chiamato ancora una volta a scegliere, settimana dopo settimana, l’autore teatrale che, tra arringhe difensive da parte di eccellenti esperti di teatro, reading di estratti dalle opere afferenti ad ogni autore, e contributi filmati di storiche edizioni delle stesse, maggiormente riesce ad affascinarlo, emozionarlo, ed interessarlo.

Quale grande drammaturgo del passato vincerà tutti gli scontri fino alla vittoria finale?

date da definire

TRAME AL TRAM

Il foyer del teatro di Port’Alba diventa palcoscenico per autori e scrittori.

Tenendo fede alla sua vocazione di multidisciplinarità, il Teatro Tram ospiterà quest’anno, nel suo foyer, una rassegna letteraria ideata e condotta dal giornalista Antonio Mocciola: “Trame al Tram”. Periodicamente si alterneranno autori teatrali e scrittori di narrativa che presenteranno al pubblico i loro nuovi lavori con la coinvolgente formula del reading. Si partirà in coincidenza con l’avvio della stagione teatrale, fino alla fine della stessa. Una bella occasione per vivere il Teatro Tram in tutta la sua pienezza e libertà espressiva, un luogo aperto al confronto, alle novità, alla cultura.

SCUOLA DI TEATRO

da ottobre 2017 a giugno 2018

SCUOLA DI TEATRO

A partire da ottobre, il TRAM attiverà una scuola di teatro per formare gli attori del futuro. Un progetto ampio e articolato, multidisciplinare, con docenti esperti.

LABORATORI DI TEATRO

Per chi volesse avvicinarsi al teatro come attività ricreativa o formativa, il TRAM attiverà dei laboratori di teatro destinati alle diverse fasce d’età: bambini, giovani e adulti.

Share the Post:

Leggi anche