“Totò e Vicè”, quando il teatro incontra la poesia

more foto Angelo Maggio P1170253 Enzo Vetrano e Stefano Randisi traducono per la scena la scrittura poetica di Franco Scaldati

La poesia è ovunque ma non tutti possono vederla, diceva Garcia Lorca. E i poeti non salveranno il mondo perché, nonostante tutti li vogliono, nessuno se li prende. Necessari, come acqua alle radici. Radici umane. Perché dire del reale con bellezza è figurarlo in altre sembianze. Spostando l’attenzione verso il non-visibile, l’intimo o la naturalezza delle cose, il senso del bello altrimenti sfuggito a sguardi distratti o pragmatici.

Franco Scaldati è un poeta. Ci ha messo tanto per essere riconosciuto. Perché un poeta di questi tempi è un folle. E’ morto, a giugno di quest’anno, celebrato come si conviene per i più importanti esponenti del Teatro contemporaneo. Sapeva fare tutto, recitare, dirigere, scriverne, anche cucire i costumi – si appassionò a quel mondo garzone di bottega in una sartoria teatrale -. I grandi questo mestiere lo  conoscono a menadito, ‘sporcandosi le mani’ lontani dal nozionismo accademico o di copertina. Al contrario i ‘nani’, sono bravi ad autodefinirsi, sventolando titoletti e premiucci.

more foto Angelo Maggio P1170371Enzo Vetrano e Stefano Randisi, siciliani anche loro, la poesia riescono a tradurla in parole teatrale e viceversa. Come qualsiasi altro materiale verbale passa attraverso la loro pregnanza dialettica. La dimestichezza con cui stanno in scena, suggella il patto tacito tra platea e palco. Osmosi.

Con semplicità e precisione attorale, zuccherata dal cenno mimico, ‘maniera’ di una certa scuola che ha influenzato e influenzerà il teatro per generazioni (De Bernardinis).

La schiettezza di partitura che in ‘Totò e Vicè’ fa onirica la parola di Scaldati. Verso reso evanescente dal gesto. Dell’evanescenza sognante, magica, si direbbe riferendosi all’alchimia del palco. La capacità di indurre ad una comprensione collettiva dalla materia umana. Specchiarsi. Ridefinirsi, riacquisirsi mediante la visione vivida.

In mezzo alla scena, leggermente rivolta vero la destra degli spettatori, una panchina adagiata e circondata da un disegno di luci, a terra, circolare. Lumini, somiglianti a lumi votivi. E nient’altro. Carne e ossa. Esperienza e calco interpretativo di chi riesce a fare arrivare la voce fra le pieghe delle tavole e recitare con naturalezza tale da confondere tra finzione e realtà. Talvolta sembra non comunichino tra loro pur dialogando, il duo trentennale,  eludendo probabilmente l’orizzontalismo; in altri frammenti sostano in proscenio. Seduti. A parlare del nulla e di tutto. Dell’uomo, della vita della morte. Dissertando filosoficamente quasi.

more foto Angelo Maggio P1170328Nell’impianto scenico, nessuna scena o quadro compiuto, piuttosto un susseguirsi circolare, come il cammino degli attori sulla scena, attorno alla panchina e per il perimetro delle luci, come circolare è il susseguirsi di giorni, temi, ricorrenze.

Valigia di cartone, stracci addosso, e i sogni interrotti in testa. Due clochard dell’anima Vetrano e Randisi. Perché l’anima stessa è viandante quando non racchiusa in qualcosa che faccia solo da involucro. E mendica poesia.

 

 

Cosenza,  TEATRO MORELLI .  6 Dicembre 2013

(rassegna “More Fridays” a cura di Scena Verticale)

Emilio Nigro

 

TOTO’ E VICE’

di Franco Scaldati. Regia e interpretazione di Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Disegno luci di Maurizio Viani. Costumi Mela Dell’Erba. Luci Sara Massai. Suono Sara Bonaccorso. Prod. Teatro degli Incamminati -Diablogues – Compagnia Vetrano-Randisi

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