“Un ballo in maschera” al San Carlo
il grande ritorno dopo 15 anni

 

 Sia benvenuto il ritorno sulle scene di un “Ballo in Maschera” dopo un’assenza che si protraeva da quindici anni, se conteggiata dall’esperimento non del tutto riuscito e dalla pretesa simil-filologica di “Gustavo III Re di Svezia” risalente al 2004, ma che si allunga a ben un quarto di secolo, se conteggiata dalla messa in scena da sogno del dicembre 1994, quando il Capolavoro verdiano inaugurò la stagione 1994/1995 con la presenza di Luciano Pavarotti.

Sentimenti nostalgici da parte, non vi è ombra di dubbio che la riproposizione del Ballo a Napoli ha sempre il sapore di un ritorno a casa perché il Massimo napoletano avrebbe dovuto essere la sede naturale per la prima assoluta dell’opera nel 1858, ma che per ragioni legate all’ottusità di una censura che imperversava in tutta Italia, ed in particolare a Napoli ove ad ogni piè sospinto si temevano rivolte ed attentati ai danni di Sua Maestà Borbone, Verdi fu costretto a ritirare l’opera (riproponendola l’anno successivo a Roma, al teatro Apollo) per non piegarsi alle idiozie dei censori che pretendevano uno stravolgimento dell’azione ed uno snaturamento dell’opera stessa.

Per una nèmesi storica il Ballo rientra a Napoli con la regia di Leo Muscato proprio nella sua originaria ambientazione svedese, alla corte dell’illuminato monarca Gustavo III, con ripristino dei nomi e della situazione storica e con restaurazione di ogni punto della storicità della vicenda – come voluto proprio da Verdi – seppur infarcita di tutti gli elementi di contrasto delle passioni che in buona sostanza animano il capolavoro.

All’ascoltatore non mancherà osservare come già dal preludio Verdi agiti i due motivi fondamentali che fungeranno da motore dell’azione mediante due temi musicali della reminiscenza: il tema di Gustavo, motivo lirico, purissimo che sgorga direttamente dai violini che emergono in tuta la loro compostezza dalla massa orchestrale, ed il tema dei congiurati, affidati ai violoncelli e contrabbassi con note molto più rapide: passi furtivi che allignano sulla vita e l’incolumità del Re, pronti a colpire.

Entrambi i protagonisti: il Re ed i congiurati, pur conferendo azione al dramma, non s’incontrano mai, si sfiorano ma non si toccano. Proprio nella migliore tradizione del teatro Shakespeariano, di cui Verdi aveva ben metabolizzato l’estetica, l’azione è mossa da due principi attivi che per loro stessa natura non devono mai incontrarsi, pur presupponendosi a vicenda in quanto essi stessi ragione sostanziale del dramma, ovvero del movimento (in senso etimologico: drào) di tutta la macchina scenica.

La musica concepita dal cigno di Busseto, pare superfluo sottolinearlo, è di una raffinatezza dalla prima all’ultima nota raggiungendo un equilibrio tra canto, orchestra, scrittura sinfonica e partecipazione strumentale all’azione la cui perfezione, forse, Verdi mai più raggiungerà riuscendo in un’impresa che riesce a far convivere il serio ed il buffo; la parte tragica del dramma riposa su vicende talmente inverosimili da indurre al sorriso beffardo che finisce col corroborare la tragedia medesima.

Ed infatti il paggetto Oscar entra a gamba tesa in affari di stato: “il bando ad una donna che s’appella Ulrica” protestando addirittura con il primo Giudice la (in)giustizia del provvedimento che si sta per adottare contro la Maga (da notare che nel libretto originario le parole che la descrivevano erano “dell’immondo sangue dei negri” modificate, forse, per omaggio al politically correct che tanto va di moda oggi in “del demonio la rea divinatrice”); il Re, a sua volta, decide per un travestimento generale allo scopo di far visita a questa donna misteriosa chiusa in una spelonca “intorno a cui s’affollano tutte le genti” e constatare di persona se effettivamente meriti di essere bandita dallo Stato.

Vicende ai limiti dell’assurdo cui la musica potente di Verdi da corpo di verosimiglianza trasmigrando dal gajo al serio e viceversa mercè la convivenza di due piani che il Maestro riesce tranquillamente a gestire dall’alto della sua acquisita capacità di piegare la nota a piacimento. Ed in tal senso nella I scena del terzo atto, a casa del conte di Ankastrom, Amelia è costretta a scegliere dall’urna il biglietto con scritto il nome fatale di chi dovrà trucidare il Re dacchè in precedenza i due congiurati e lo stesso Duca litigavano su chi dovesse essere il prescelto: assurdità che acquistano un senso drammaturgico solo per mano di Verdi che ne plasma il materiale musicale compattandolo e fluidificandolo in modo mirabile (si veda ad esempio la soluzione musicale di qualche istante successivo, l’ingresso del messaggio che reca in invito del sire alla festa).

Felice la scelta della regia affidata a Leo Muscato il quale ha costruito uno spettacolo godibilissimo ove la restituzione storica dell’ambientazione era appena accennata mediante la scelta di un palcoscenico prosciugato da ogni inutile orpello ma pieno di citazioni che permettessero di risalire alla vicenda storica del regicidio.

Bellissimi i giochi di luce che entravano di taglio e disegnavano le psicologie dei personaggi; colorati ed elaborati i costumi, agile il gioco di scena mediante la rotazione a 360 gradi della parte finale ove dallo studio di Gustavo si passa improvvisamente alla sala da ballo. La regia di Muscato bene pone in evidenza, al di là della vicenda storica, l’inverosimiglianza della stessa mediante la perfetta coesistenza del tragico e del buffo onde lo spettatore volge al sorriso pur nel momento di gravità nell’azione – quale, ad esempio, l’insuperata ed insuperabile scena delle risate dei congiurati al second’atto – e s’incuriosisce quando l’espressione faceta fa capolino all’improvviso, come nell’annunzio del ballo da parte di Oscar dopo che Amelia è stata costretta alla scelta casuale del nome dell’assassino del Re.

Indiscutibilmente corretta la resa musicale con la guida di Donato Renzetti: il direttore è sicuramente uno dei maestri della scuola italiana, sebbene la conduzione del Ballo non sia riuscita ad andare al di là di un accademismo privo di quel quid pluris, del tocco di genialità nella scelta dei timbri, della concitazione dei tempi che un capolavoro del genere merita.

In troppi punti i tempi apparivano troppo lenti ed un po’ appesantito il ritmo musicale (tanto che talora il palcoscenico non era perfettamente in linea con l’orchestra), ma deve pur sempre convenirsi che tutto era bene ed analiticamente diretto, sebbene manchevole di quel guizzo, di quei repentini cambi di tempi, dei pianissimi alternati ad eruzioni sonore che costituiscono il nerbo di un Ballo in Maschera.

Il cast scelto dal massimo napoletano è di tutto rispetto.

Amelia affidata a Susanna Branchini, che recentemente a Reggio Emilia ha rivestito il ruolo di Eleonora della Forza del Destino, è cantante dal timbro sicuro ed anche bello nella zona centrale. Ciò che manca a questa cantante di sicuro talento è il fraseggio ed il cesello vocale nei filati e le mezze voci di cui la scrittura del Ballo abbonda. Ne risulta un canto tutto spostato sul forte per cui la diminuzione del volume vocale è realizzato con fiato corto e con sforzo notevole (come accade nella scena del duetto d’amore del secondo atto).

Celso Albelo è tenore ben noto ed amato al pubblico napoletano; voce scura e timbro sicuro rendono per lui particolarmente impervia la parte di Gustavo che Verdi ha scritto con una tessitura acuta richiedendo talora fiati lunghissimi, talaltra con un fraseggio a scatti, fulmineo e con note tipiche dei tenori drammatici, quali il si bemolle al fulmicotone di “anco una volta l’anima/d’amor mi brillerà”. Apparso leggermente freddo all’inizio il protagonista maschile si è riscaldato ed ha disegnato un sovrano lontano da ogni virtù o pretesa eroica in favore di un uomo lacerato tra la ragion di Stato ed i propri sentimenti.

Anna Maria Sarro ricopriva il ruolo del paggetto Oscar, personaggio chiave nell’opera e cerniera tra l’anima seria e quella buffa dell’opera. Voce di soprano chiaro con belle agilità che ha affrontato con magistrale sicurezza un personaggio con dignità di protagonista.

Splendida la maga Ulrica cantata da Agostina Smimmero la cui voce profonda e composta rendeva a perfezione il personaggio fantastico ed inverosimile che Verdi ha disegnato con una bella dose d’ironia, quasi a ridere dal profondo dell’argomento fantastico sulle vicende umane: si spera davvero che il Teatro tenga d’occhio questa giovane e talentuosa cantante affidandole altri ruoli da protagonista.

Ultimo, ma non meno importante, degna di lode Luca Salsi nelle vesti del Duca di Ankastrom (Renato nella versione censurata dell’opera) di cui è ben nota la professionalità e l’arte di saper gestire la propria voce di baritono dal timbro chiaro e marmoreo. Il pubblico ha tributato, ed a ragione, una ovazione in occasione dell’aria “eri tu che macchiavi quell’anima”.

In definitiva condivisibile la scelta di riproporre al pubblico quest’opera che il San Carlo ha in pectore tenuto a battesimo e che sarebbe bene (a dispetto di trovare un cast all’altezza della partitura) riproporre più frequentemente attesa la sostanziale non conoscenza di quest’aspetto dell’arte di Verdi al pubblico napoletano troppo avvezzo a discutibili operazioni di cassetta, ma comunque disposto ad affrontare con costruttiva curiosità il repertorio verdiano meno noto.

 

Pietro Puca

 

La recensione si riferisce alla recita del 27 febbraio 2019.

 

Giuseppe Verdi/

UN BALLO IN MASCHERA

Opera in tre atti su libretto di Antonio Somma, da Gustave III, ou Le Bal masqué (1833) di Eugène Scribe.

 

Prima rappresentazione: Roma, Teatro Apollo, 17 febbraio 1859

 

Direttore | Donato Renzetti

Maestro del Coro | Gea Garatti Ansini

Regia | Leo Muscato ripresa da Alessandra De Angelis

Scene | Federica Parolini

Costumi | Silvia Aymonino

Luci | Alessandro Verazzi riprese da Marco Alba

Movimenti coreografici | Alessandra De Angelis

 

 

 

Interpreti

Gustavo III Re di Svezia (Riccardo), Roberto Aronica (22, 24, 27 febbraio 2019) / Celso Albelo (23, 26, 28 febbraio 2019)

Carlo, duca di Ankastrom (Renato), Luca Salsi (22, 24, 26, 28 febbraio) / Seung-Gi Jung (23, 27 febbraio 2019)

Amelia, Carmen Giannattasio (22, 24, 27 febbraio 2019) / Susanna Branchini (23, 26, 28 febbraio 2019)

Ulrica, indovina, Agostina Smimmero (22, 24, 26, 28 febbraio 2019) / Anastasia Boldyreva (23, 27 febbraio 2019)

Oscar, Anna Maria Sarra (22, 26, 27, 28 febbraio 2019) / Marina Monzò (23, 24 febbraio 2019)

Il Conte Horn (Sam), Laurence Meikle

Il Conte Ribbing (Tom), Cristian Saitta

Cristiano, un marinaio (Silvano), Nicola Ebau

Un Giudice, Gianluca Sorrentino

Un servo di Amelia, Lorenzo Izzo

 

Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo

 

 

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