Un insulto a “RE LEAR”. Oh, povero Shakespeare!

Una scena spoglia, il re sul trono, le sue tre figlie con i rispettivi consorti, le guardie ed un tappeto di pellicce al centro della scena, a simboleggiar il regno. Si apre così questa offesa ad uno dei testi più belli e significativi nati dal genio shakespeariano, “Re Lear“.

Urla e movenze circensi, stridenti le voci, sgraziate le movenze, un tormento per le orecchie e gli occhi. Come é possibile render in modo tanto indegno una tale eccellenza letteraria?

Un susseguirsi di quadri all’interno dei quali ogni personaggio esegue, quasi sempre sul proscenio, la sua circense interpretazione.

Le donne sono volgari, mastodontiche, urlanti come cagne in calore, impacciate negli abiti, ad eccezione di Cornelia, che vuoi per ruolo, vuoi per stazza, salva un minimo della propria femminilità.

Gli uomini sembrano posseduti da un demone che li costringe ad urla continue, solamente Graziano Piazza (Re Lear) e Francesco Biasciane (Gloucester) insieme con Elio D’Alessandro (Kent) riescono talvolta ad avere un tono della voce più basso, e sono questi gli unici momenti in cui é possibile apprezzar la meraviglia del testo. Testo al quale il regista Daniele Salvo, che definisce il suo uno spettacolo Low Cost e per questo spoglio ed essenziale, non ha mancato di aggiungere elementi erotici che cadono nella parodia e nell’oscenità, effusioni gay-lesbo fra i protagonisti che non trovano alcuna necessità di esistere.

L’apoteosi del cattivo gusto si raggiunge nel secondo atto ove si assiste ad una scena degna del peggior cinema splatter: occhi cavati con le mani, e poi schiacciati sotto i piedi, mentre finto sangue sgorga dalle orbite.

A noi, platea allibita, non resta che chiedersi “perché”?

Una nota di merito va a Selene Gardini (Fool) per l’impegno nell’interpretazione, anche se dopo tre ore di spettacolo, chiunque é stanco di veder una copia di Sbirulino saltellante e nevrotico.

La vicenda si snoda sotto gli occhi del pubblico che passivamente sembra, a tratti, addirittura apprezzare la messa in scena. Basiti ci si domanda perché si accetta un tale insulto all’opera.

Pregna di valore, di significato, opera senza tempo, ove la cecità di un padre, di un re, porta alla solitudine e alla follia, all’assoluta non riconoscenza. Un’opera ove il potere viene esposto crudo, vile, spietato, potere che riduce l’uomo alla debolezza piú estrema, lo denuda degli affetti e della dignitá, lo espone alle insidie del tempo e dell’anima. Non esiste più il Re, anch’egli é un buffone che soltanto nella follia riconosce finalmente la verità. Il dolore attraversa la mente, trova nuovo vigore in un corpo martoriato fino alla redenzione, fino alla morte. La morte ristabilisce ordine e lascia intravedere la speranza. Ma non é anch’essa il male peggiore sul fondo del vaso di Pandora?

Forse si, se ancora si spera di non dover più assister a questo Nulla poiché “dal nulla viene il nulla”e il Teatro non merita questo.

Roma, Globe Theatre, 30 luglio 2015

Elena Grimaldi

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